201457308-f551cc40-5818-411a-90ce-138815858fdd– A cura di Luca Proietti Scorsoni – Come una reiterazione storica, collimante forse più con la metapolitica che non con l’amministrazione ordinaria, anche per questa tornata elettorale sarà Milano la città, o parola chiave che dir si voglia, cardine per comprendere lo stato di salute del centrodestra. Meglio dire: per intravedere se ci saranno spiragli di ripresa visto che al momento l’area liberale e conservatrice di certo non è nel suo zenit esistenziale. Milano dicevo: è proprio sotto la madonnina che le sorti politiche italiane hanno sempre preso una piega decisiva per il futuro del Paese. Si, perché se ci pensate bene Roma è indubbiamente il luogo dove il potere si gestisce ma le epifanie più durature, gli slanci ideali e programmatici – diciamo pure la carne viva dei cambiamenti radicali – si sono dipanati a partire dal capoluogo lombardo. Anche stavolta nessuna eccezione di sorta. L’eventuale vittoria di Parisi contro Sala potrebbe contaminare d’ottimismo, e di qualcosa di molto più sostanzioso, l’intero centrodestra italiano, scritto volutamente senza alcuno trattino divisorio. Perché se è vero – e lo è – che esistono molteplici sensibilità catalogabili come di destra è altrettanto palese che o queste forze convergono all’interno di un unico soggetto politico – chiamatelo coalizione o partito: l’attuale contingenza non può essere avvezza a sottigliezze di sorta – oppure si rimane politicamente e culturalmente sterili. Dico di più: si ritorna al tempo in cui chi parteggiava sotto le insegne della fiamma veniva definito nostalgico. E questo, converrete con me, sarebbe un contrappasso indigeribile per tutti coloro, quorum ego, che seguirono sin dagli albori la fantastica avventura del Cav impastata da dinamismo spinto e sfrontatezza spicciola. Ergo, Milano è l’ennesimo tentativo di costruire un laboratorio dove amalgamare pensieri, intuizioni, pazzie, valori che risulteranno essenziali per dar vita una realtà unica ma dai richiami polisemantici. È vero, in base ad alcuni sondaggi commissionati qualche settimana prima della chiamata alle urne i due contendenti venivano percepiti, dalla maggior parte dei potenziali elettori, come due figure sovrapponibili. D’altronde entrambi presentano un eguale piglio decisionista, il marchio tipico dell’uomo del fare, indubbie doti manageriali, insomma: personalità più o meno sovrapponibili. Senonché, ed i risultati del primo turno hanno palesato tale tendenza, emerge una differenza non da poco laddove, a parità di messaggio che si vuol inviare alla gente, uno si circonda da persone che bene o male provengono da un vissuto contraddistinto da buon governo, sussidiarietà, approccio benevolo all’ingresso dei privati e chi invece gioca al girotondo ed è solito scrollare le spalle ad ogni richiamo di occupazione edile e per ciascuna velleità rivoluzionaria da Leoncavallo. In pratica a volte è il contesto a fare la differenza perché consente di guarnire in maniera ottimale la confezione elettorale. La ciliegina sulla torta per intenderci, dove però in questo caso il frutto è qualcosa in più di un semplice retrogusto dell’intera pietanza. Ma al di la di tutto se il centrodestra riuscisse a vincere a Piazza Duomo andrebbe a squarciare un altro velo ipocrita e, in quanto tale, già lacero di suo. Ovvero che il fusionismo non solo funziona ma è l’unica strada salvifica da percorrere. Fusionismo di apparati, di popolo, di percentuali elettorali ma, ancor prima, di volontà, radici intellettuali, programmi e sfumature culturali. Perché non ha molto senso creare l’agglomerato con il solo compito di battere l’antagonista se poi la “Cosa Blu” non riesce a darsi una missione chiara, un compito ben preciso, se non è in grado soprattutto di modellare una visione sociale che ponga al centro l’essere umano. Ecco, diciamo così, sulla falsariga di Antonio Rosmini il compito della politica, della nostra politica, è quello di tutelare l’utopica sfera avente come centro sorgivo l’individualità di ciascuno. Forse sono andato troppo oltre ma se Parisi riuscisse nell’impresa meneghina gli echi della vittoria potrebbero riverberarsi in un ulteriore ed evoluto disegno politico e, lasciatemelo dire, filosofico.