Grano-tenero-di Federica Russo e Simone Paris- Il settore agroalimentare italiano, dal secondo dopoguerra in poi, si è notevolmente sviluppato sino ad essere ritenuto oggi una delle colonne portanti del “Made in Italy”, espressione con la quale amiamo indicare tutto quell’insieme di tradizioni, culture, prodotti, usanze che i nostri avi ci hanno tramandato e che, tuttora, in qualunque parte del mondo, da Pechino a New York, contraddistingue il marchio italiano come unico e pregiato. Nonostante molte difficoltà ed alcuni ritardi rispetto ad altri paesi europei che avevano premuto l’acceleratore, questo settore ha saputo ben difendersi tant’è che gli studiosi hanno notano come il suo andamento sia stato anti-ciclico: ad una performance negativa del settore industriale, è corrisposto una sua performance positiva. E questo ci fa capire quanto in verità le piccole e medie imprese a conduzione familiare che prevalgono sullo scenario dell’agroalimentare italiano siano maglie di un tessuto estremamente fragile e importante per la crescita del nostro paese e, in quanto tali, andrebbero salvaguardate.
All’interno di questo settore poi notiamo, ad esempio, una rilevanza quasi equivalente dei comparti della produzione agricola, da quelle erbacee alle zootecniche o arboree. La distribuzione di esse sul territorio però non è omogenea in virtù dei processi di concentrazione e specializzazione che sono andati negli anni a svilupparsi su base regionale. Così spesso sedendoci dinanzi ad una tavola imbandita, come solo noi sappiamo fare, capivamo bene che il nostro olio proveniva per la maggior parte dalle calde regioni del Sud o del Centro, che il nostro latte era prodotto nelle province di Cremona, Lodi, Mantova e che la nostra invitante frutta nasceva nelle aree di Napoli, Caserta, Forlì, Catania, Siracusa e Ravenna.
E questo era scontato, o almeno lo era fino a quando qualcuno “a corte” non ha deciso di lasciarsi liberamente bacchettare dal “biondo caschetto” di una austera Cancelliera la quale, forte della posizione del suo “Regno”, ha pensato bene di cambiar le carte in tavola.
Cosa sta accadendo oggi? Dove è finita la volontà di difendere questo settore, come altri, che fanno sì che i nostri figli, i nostri nipoti ricevano un prodotto di qualità nato dalla passione di chi, nonostante tutto, non ha mai rinunciato a combattere per le tradizioni italiane? Perché piuttosto che difendere il nostro marchio, simbolo della nostra identità, viene abbandonato in un angolo favorendo le importazioni straniere?
Un esempio sicuramente noto ai più è quello dell’olio di oliva importato dalla Tunisia.
Il Parlamento europeo, poche settimane fa, ha votato favorevolmente all’introduzione senza dazi sul mercato europeo di 35000 tonnellate in più all’anno di olio di oliva prodotto in Tunisia.
Questa proposta era stata formulata dall’Unione Europea dopo gli attentati terroristici che avevano colpito la Tunisia nei mesi precedenti e che hanno messo a dura prova il turismo tunisino, principale fonte di reddito della nazione, per poter aiutare la sua economia in un momento piuttosto complicato e per garantire la stabilità del suo sistema democratico.
Con questo provvedimento, il nuovo quantitativo di olio tunisino che circolerà senza dazi sul mercato europeo sarà di circa 90000 tonnellate, essendone già previste 56700 dall’accordo di associazione tra Unione Europea e Tunisia.
L’olio di oliva è il principale prodotto agricolo esportato dalla Tunisia verso l’Unione Europea e la sua produzione con il relativo indotto fornisce lavoro a circa un milione di persone.
Il provvedimento originario con alcune modifiche richieste soprattutto da Italia e Spagna, i due maggiori produttori di olio d’oliva nell’Unione Europea: è stato introdotto il divieto di prorogare la validità del provvedimento oltre il 2017 e sono state inserite nuove misure per garantire che l’olio d’oliva tunisino non venga poi rivenduto per olio prodotto in alcuni dei paesi dell’Unione Europea, considerato di qualità più alta.
Il caso dell’olio tunisino rappresenta forse il caso più eclatante e maggiormente conosciuto, ma si potrebbero fare tantissimi altri esempi in cui il Made in Italy non è tutelato in maniera adeguata (rimanendo all’interno del campo agroalimentare si potrebbe discutere degli agrumi siciliani, del latte o dell’uva prodotta nell’intera penisola).
L’industria manifatturiera in generale, così come il settore agroalimentare, è sempre stato un punto di forza dell’economia italiana, forse la vera locomotiva trainante della stessa; però da un periodo a questa parte si assiste ad una mancata tutela dei propri punti di forza, ad una difesa sempre più blanda del Made in Italy in virtù di non specificate e poco comprensibili ragioni.
L’economia italiana è in lieve ripresa; tra i tanti provvedimenti che si potrebbero attuare per aiutarla nella sua crescita non è forse più semplice mettere in campo una politica di tutela e valorizzazione del nostro Made in Italy, un vanto che ci invidia il mondo intero?