FQP6hmW– di Alessio Marsili – Per arrivare al quartiere di Maelbeek bastano venti minuti di metropolitana dal centro di Bruxelles. Non molto distante dal cuore della capitale belga, città simbolo dell’Europa, si estende un quartiere composto da oltre 90 000 abitanti caratterizzato da elevata criminalità, povertà dilagante, disoccupazione, assenza di forze dell’ordine: qui, circa l’80% degli abitanti è di religione musulmana e la numerosa comunità islamica si raccoglie attorno alle 22 moschee presenti. A Maelbeek, nel quale hanno vissuto due protagonisti degli attacchi di Madrid del 2004, sono collegati gli attentati al Museo Ebraico di Bruxelles del 2014 e quelli di Parigi dello scorso novembre. Un bastione del fondamentalismo islamico, dove numerose cellule jihadiste ne hanno fatto base o rifugio. Eppure le autorità belghe non sono state in grado di prevenire l’ennesimo attacco kamikaze, dove 31 persone innocenti hanno perso la vita ed oltre 270 ferite a causa di due ordigni esplosi all’aeroporto di Bruxelles, Zaventem, e un terzo fatto detonare proprio nel metrò di Maelbeek. Perché ancora una volta, un paese geograficamente circoscritto e con una popolazione di poco più di 11 milioni di abitanti è oggetto degli attentati portati avanti dai fondamentalisti islamici?

Il Belgio ha storicamente rappresentato il crocevia culturale tra l’Europa germanica e l’Europa latino-romanza: la divisione in due distinte comunità linguistico culturali, fiamminghi nelle province settentrionali e valloni in quelle meridionali, influenzano profondamente il sistema politico vigente. La Carta Costituzionale dello Stato belga – redatta nel 1831 a seguito dei moti rivoluzionari che portarono all’indipendenza del Paese – prevede l’esistenza di comunità e regioni, ciascuna dotata di un Parlamento e Governo che esercitano funzioni legislative e amministrative. Oltre alle municipalità, sono dunque sei i governi i Governi costituzionalmente riconosciuti: uno Federale, uno fiammingo nelle Fiandre, uno della comunità francese, un governo della comunità che parla tedesco, un governo dei Valloni, ed uno per la regione della capitale. Proprio a Bruxelles, sono oltre 19 i distretti, con relativa autonomia e oltre sei le autorità di polizia che macchinosamente e con riluttanza comunicano tra loro. Il Belgio è, dunque, un non-Stato.

L’eccessiva frammentazione socio-culturale, l’elevata divisione istituzionale comportano inevitabilmente inefficienza delle forze dell’ordine e numerose falle della sicurezza, il tutto coniugato – probabilmente a causa dell’ingombrante presenza di Parigi – ad un inetto servizio di intelligence: rispondere ad un’autorità piuttosto che un’altra, difficoltà a scambiarsi celermente informazioni, scarsi finanziamenti hanno portato ad un’impasse. Basti pensare che, nella città sede delle maggiori istituzioni dell’Unione Europea e dei quartier generali della NATO, l’ideatore delle stragi parigine del novembre dello scorso anno Salah Abdeslam è stato catturato (dopo quasi sei mesi di latitanza) per caso, nel suo quartiere di origine – Maelbeek, per l’appunto; inoltre, a differenza del teatro Bataclan, aeroporto e metro sono obiettivi maggiormente sensibili e prevedibili, fatto che conferma l’impotenza del sistema di sicurezza belga. In un contesto del genere, l’assenza di effettiva integrazione della comunità musulmana e la facilità con cui si riesce a rimediare un’arma, favorisce la diffusione della Jihad che si espande capillarmente nelle divisioni presenti in Belgio – paese europeo che in proporzione fornisce più di tutti materiale umano ai gruppi estremisti come Isis e Al Qaida.

La domanda sorge spontanea: come può il Belgio, e l’Europa intera di conseguenza, rimediare ad un problema del genere? Certamente, è imprescindibile fare chiarezza. Il problema del fondamentalismo islamico è un problema che attanaglia l’Occidente nella sua interezza e non solo il Belgio. La guerra asimmetrica contro chi contesta apertamente i nostri valori e la nostra cultura è in corso; non possiamo minimamente pensare di venir meno a tale sfida. L’assenza di collaborazione operativa, interscambio informativo ed il deficit della cultura dell’ “intelligence” non possono essere inculcate da un giorno all’altro e, facendo tutti gli scongiuri del caso, Bruxelles rimarrà nell’obiettivo così come altre capitali europee. Molte volte, i ministri dell’interno europei hanno paventato l’ipotesi di unificare i servizi segreti per combattere unitamente il terrorismo, ma pochi passi sono stati fatti in quella direzione – è davvero questa la soluzione? Creare un servizio di sicurezza segreto europeo può sembrare un’idea ingenuamente futile. Nel frattempo l’UE resta paralizzata, impaurita rispondendo con hashtag, facebook, lucine e gessetti colorati al terrore. Mentre l’Alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza piange durante la conferenza stampa, le vittime innocenti degli attentati di Bruxelles – semmai ve ne fosse ancora bisogno – ci dovrebbero far capire che è il momento di agire.