brexit– a cura di Filippo Del Monte – Da qualche giorno i governi italiano, francese e tedesco hanno preso contatto a più livelli per contrastare gli effetti della Brexit e capire quali strategie adottare per il futuro dell’Unione Europea. La Gran Bretagna nell’UE rappresentava uno dei “quattro grandi” e svolgeva una funzione d’equilibrio sia nei rapporti tra Parigi e Berlino, sia in quelli tra l’asse franco-tedesco e Roma. Su molti dossier Italia e Gran Bretagna stavano collaborando, nel tentativo di portare Bruxelles ad avere una visione più razionale dei tanti problemi che flagellano l’Unione Europea; in netto contrasto dunque ai colossi francese e tedesco, sulla cui partnership si regge l’attuale impalcatura comunitaria.

L’uscita di scena di Londra – che non avverrà comunque prima di settembre stando alle dichiarazioni di David Cameron – avrebbe quindi dovuto preoccupare molto di più Roma che Berlino. E’ stato invece l’esecutivo della Bundeskanzlerin Angela Merkel a nutrire timori mentre a Palazzo Chigi ed alla Farnesina sembrano piuttosto tranquilli. In un’intervista rilasciata a Il Messaggero il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni ha evidenziato come l’Italia sia pronta a cogliere le opportunità derivanti dal passaggio delle Potenze comunitarie da 4 a 3. Certamente le opportunità ci sono, del resto venuta meno la funzione d’equilibrio di Londra, l’asse franco-tedesco non è più solido come prima ed ognuno tenta di attrarre Roma nella propria rete per guadagnare un alleato. Questi tentativi sono costellati di piccole ripicche o segnali captati solo dagli addetti ai lavori, due esempi su tutti: in quello che doveva essere un incontro bilaterale Hollande-Merkel i tedeschi hanno invitato anche Matteo Renzi; il presidente francese ha invitato Renzi ad un pranzo informale all’Eliseo.

Va detto che l’accondiscendenza mostrata dai francesi all’Italia è legata più a complicati equilibri di politica interna che ad una reale tendenza filo-italiana della diplomazia transalpina. Dopotutto nel Mediterraneo – basta vedere i diversi schieramenti sostenuti in Libia od i rapporti con l’Egitto – Parigi e Roma hanno interessi diversi, quando non direttamente in contrasto, e spingere la Germania a più miti consigli “utilizzando” l’Italia non sarebbe un gioco che varrebbe la candela di indietreggiare in Nord Africa. Gli stessi problemi esistono se si va a confrontare la condotta politico-diplomatica tedesca in Europa con quella italiana: sulle principali questioni legate all’UE – immigrazione e flessibilità economica – ma anche nella penetrazione politico-economica nei Balcani così come nei rapporti con la Russia la nostra è una visione che entra subito in collisione con quella germanica. Il grande lavoro che attende i nostri diplomatici nel prossimo futuro sarà capire quale Potenza, tra Francia e Germania, consentirà all’Italia di guadagnare una posizione più forte nell’Unione Europea; in altre parole bisognerà capire chi tra Parigi e Berlino stia bluffando di più – perché di bluff si tratta in entrambi i casi – per ottenere l’appoggio italiano e per quali scopi.

Analizziamo questa situazione partendo da Berlino. La Germania è la prima Potenza europea, ha un’economia florida, una diplomazia incisiva ed è guida del blocco nord-europeo (o dei “virtuosi”) in seno all’UE. Berlino è un partner di cui non si può fare a meno. Paradossalmente sono proprio i numerosi punti di forza tedeschi a sconsigliare all’Italia di avvicinarsi alla Germania: non sarebbe un accordo stretto tra pari e Roma avrebbe tutto da perdere perché nulla potrebbe imporre e nulla avrebbe da guadagnare. Viene il dubbio che a Berlino stiano “ammiccando” agli italiani solo per riportare la Francia a più miti consigli, cioè non sussista nessuna volontà da parte teutonica di sostituire un redivivo asse italo-tedesco con l’asse franco-tedesco ma solo quella di pressare Parigi. Un paragone leggermente forzato ma che può rendere l’idea ha per protagoniste sempre queste tre Nazioni e ci porta indietro nel tempo al 1941: il governo francese di Vichy propose all’Italia fascista di dar vita ad una “unione latina” per contrastare le pretese egemoniche della Germania nazista in Europa. Visto il comportamento ambiguo di Roma, Hitler fece ingenti concessioni ai francesi, decisamente più allettanti delle evanescenti promesse mussoliniane di spartizione dell’Impero coloniale britannico, allontanando Vichy dall’Italia. Con le dovute “cortesie” diplomatiche Ribbentrop fece capire a Ciano che Roma poteva essere sostituita da Berlino in qualunque momento come “alleato principale”. Eppure in quel momento l’Italia era troppo importante per la Germania e difficilmente poteva essere sostituita, però le minacce servirono a riportare Roma sotto l’ala nazista menomandone definitivamente i propositi di “guerra parallela”.

La Francia invece sembra aver rispolverato l’antico progetto di “solidarietà latina” viste le convulsioni socio-economiche che ne stanno agitando le giornate di festa di Euro 2016. Il governo socialista sembra incapace di gestire le proteste per la riforma del lavoro (una fotocopia del Jobs Act renziano), il disagio delle periferie e delle minoranze etniche e l’emergenza terrorismo. Specialmente la riforma del lavoro, imposta dalla burocrazia europea, è un chiaro segnale di come ormai a Bruxelles guardino alla Francia come al nuovo “grande malato” del Vecchio Continente. L’economia stagnante e le tensioni sociali non permettono all’Eliseo di apparire forte all’estero. La nuova union sacrée di Hollande è nata e morta sull’onda degli attentati al Bataclan; ha dato respiro ai socialisti ma non li ha tirati fuori dalle sabbie mobili. L’unico modo per uscire dall’impasse sarebbe quello di “ammorbidire” il controllo e le imposizioni europee – leggi “tedesche” – ed il miglior modo per farlo sarebbe strappare concessioni a Berlino con il sostegno italiano. Le ultime richieste fatte da Roma e Parigi alla Gran Bretagna (affrettare le procedure per un’uscita rapida di Londra dall’UE) con velato disappunto di Berlino fanno pensare che questa collaborazione sia già operante. Le rivalità con la Francia nel Mediterraneo deve però indurre il nostro Paese a valutare tutti i rischi del caso; è più conveniente collaborare con i francesi per allontanare il prima possibile la Gran Bretagna dall’UE (del resto dopo i risultati del referendum non avrebbe senso tergiversare) ma non di più.

Dunque scegliere Parigi o Berlino? Ogni risposta sarebbe prematura allo stato attuale delle cose. E’ evidente che l’Italia sarebbe solo un’esca per ammorbidire la controparte per poi, una volta raggiunto lo scopo, gettare di nuovo gli italiani fuori dalle stanze dei bottoni. Tutto lascia presumere che alla Farnesina dovranno giocare una snervante partita fatta di tatticismi e captare le mosse di entrambe le Potenze. “Ci sono opportunità di crescita” ha detto Gentiloni, dunque di contare di più, ma la configurazione “tripartita” del sistema europeo impone all’Italia di tornare alle antiche dottrine del “giro di valzer” e del “peso determinante” per fungere da ago della bilancia tra Francia e Germania strappando le condizioni migliori. Raccogliere il testimone britannico potrebbe essere l’unico modo per garantire il nostro interesse nazionale e non legarci a nessuno dei due carrozzoni che equivarrebbe invece a fare il gioco esclusivo ora di Parigi, ora di Berlino.