– A cura di Giorgio La Porta –  Ve le ricordate le folle sinistre che partivano da Palazzo Chigi fino a sotto il Quirinale con le bottiglie di spumante per le dimissioni del Governo Berlusconi? Ebbene non si era vinta la guerra contro il sanguinario dittatore, non eravamo capeggiati da Gheddafi o da Fidel Castro, ma da un signore quasi ottantenne che aveva vinto le elezioni sul centro sinistra con un vantaggio di ben 8 punti e ben 5 milioni di voti.

Cosa sia successo dopo lo sappiamo tutti.

Le immagini di quelle persone brindare per una crisi politica però, sono ancora una ferita aperta dopo 5 anni. Una piazza piena di odio e di livore, capace di tutto, tranne che di governare.

Una piazza rabbiosa non troppo distante dai sentimenti di Piazzale Loreto e dell’infierire sul corpo ormai innocuo di un uomo morto.

Eppure meno di due anni dopo Berlusconi è tornato in campo e non ha vinto le elezioni per lo zero virgola, 150 mila voti, meno di un municipio di Roma.

Con senso di responsabilità si è seduto, ha aspettato che Bersani esaurisse la sua carica di antiberlusconismo e si facesse fuori da solo dalla scena politica, per dimostrare con la rielezione di Napolitano grandissimo senso di responsabilità.

Pur di non lasciare il Paese senza Governo dopo mesi di trattative interminabili e inconcludenti e con i grillini inarrestabili, forti del 25% di consenso, ha dato il suo consenso al Governo Letta.

Il lupo perde il pelo ma non il vizio e quando arrivò la sentenza di condanna di Berlusconi, era occasione ghiotta e cosa assolutamente prioritaria per il Senato buttarlo fuori, talmente prioritaria da cambiare i regolamenti stessi della Camera Alta.

Il Pd fece così asse con la vecchia Rifondazione Comunista (che presiede attualmente la commissione responsabile del procedimento) e con i grillini e anche lì grande occasione di festa per aver buttato fuori dal senato, neanche fosse un assassino, il leader del centrodestra che non aveva vinto per una manciata di voti.

Berlusconi resta fermo, in silenzio, mentre i suoi fedelissimi se ne vanno altrove, visto che l’amore, la riconoscenza e la coerenza sono valori fondanti, e si siedono al governo con Renzi, mentre lui resta sempre più solo, circondato dall’affetto del fedelissimo Dudù e dei suoi elettori fidatissimi.

Arrivano così le elezioni del nuovo Capo dello Stato e rientra in gioco, puntando ad un accordo col centrosinistra per l’elezione di Giuliano Amato. In una notte però salta l’accordo e Mattarella sale al colle votato solo dalle forze che sostengono la maggioranza.

Da quel momento Berlusconi rompe ogni rapporto politico e si prepara alla campagna per il referendum, tra qualche acciacco che è consentito anche a chi non dà mai la sensazione di essere stanco.

Arriva la campagna referendaria e lui è silenzioso, tanto che anche chi vi scrive ora nutre qualche dubbio sul suo gioco su due tavoli.

A 10 giorni dal voto entra a gamba tesa dettando ai suoi una linea chiara e netta a sostegno del No. Quella linea che unisce il fronte moderato e fa cadere il governo del Pd e di Renzi. Poi torna di nuovo in silenzio per annunciare che andrà alle consultazioni al Quirinale. Lui salirà al Colle 22 anni dopo col vento in poppa di una campagna elettorale vinta, altri ci andranno per l’ultima volta nella propria breve e inutile vita politica.

Eppure siamo quì a pensare cosa faremo domani, con quel senso di responsabilità che è nostro e che proprio non riesce a farci stare in piazza a festeggiare per la caduta ingloriosa di un avversario.

Siamo così, forse ingenui, forse impulsivi e spesso ne paghiamo il prezzo in prima persona.

Non riusciamo però a brindare in piazza con quella tifoseria da curva per poi entrare due minuti dopo in giacca e cravatta nello stesso palazzo e fare appelli al senso delle Istituzioni e magari criticando con quella superiorità morale tutta propria della sinistra le piazze piene di grillini.

No, questo proprio no. Per questo chiunque arrivi, chiunque si candidi, qualunque sia il prossimo sistema elettorale o il possibile ballottaggio, saremo sempre agli antipodi del Partito Democratico e delle piazze che brindavano quando moriva l’ultimo governo legittimato dagli italiani.

Il centrodestra è un fronte ampio che va dai nostalgici di destra agli ipercattolici dc. Dopo 22 anni non sappiamo ancora chi siamo, ma abbiamo capito bene chi non vogliamo essere e chi non saremo mai.