– A cura di Andrea Rapisarda – Le multinazionali e i grossi magnati non si sono arresi al fallimento del TTIP, progettando nell’ombra – sulla falsariga di quest’ultimo – un nuovo accordo di libero scambio tra l’Unione Europea e il Canada chiamato CETA. Interessante come i criteri di questa sigla si rivedano nel principio di rafforzamento delle grandi imprese internazionali, che come nel precedente trattato si vorrebbe provare a renderle più potenti anche dei vari Stati presenti nel campo geografico d’interesse. Si riprende l’idea che una multinazionale possa far causa a un determinato Stato, qualora questa entità fosse ritenuta come responsabile di un danneggiamento verso un determinato investimento in quel territorio. Fa rabbrividire anche l’aspetto legato alla Corte che esprimerà un giudizio sulle ipotetiche cause, totalmente privata e con palesi conflitti d’interessi per questo motivo: ne faranno parte docenti provenienti dagli Atenei privati e giuristi vicini dalle imprese… insomma già alla radice si vedono commissioni giuridiche di parte, che guardano solamente all’interesse del privato e non dello Stato. L’ICS – Investor Court System – è il nome di questo ente di giudizio, che oltretutto potrà essere attivato solamente dall’imprenditore per portare in giudizio uno Stato e non viceversa (nel caso Paesi o cittadini che vorrebbero fare causa alla multinazionale per danneggiamenti subiti da un determinato investimento).

Il CETA va anche analizzato su dati imprenditoriali, ugualmente da brividi se messi in proiezione per le realtà d’imprenditoria italiana o UE. Abbiamo già visto cosa ha comportato – soprattutto per l’Italia – l’abbattimento delle tariffe doganali e il taglio dei prezzi, che in una visione di libero mercato ha lasciato le nostre imprese alla deriva e in balia della concorrenza di potentissime multinazionali (con queste ultime che mancano nei loro prodotti spesso di genuinità). L’attuale accordo siglato in una totale mancanza di trasparenza, potrebbe aprire le porte del nostro Paese ad alimenti canadesi di scarsa qualità e repentini cambi di norme di mercato: frutta e verdura OGM o carne lavorata con steroidi potremmo ritrovarci sulle nostre tavole, con i nostri sofisticati controlli di qualità totalmente annullati dai criteri di questa intesa commerciale. Anche il pericolo di contraffazione dei nostri marchi potrà diventare concreto con queste premesse, poiché molti privati troveranno una strada spianata – agevolati da una simile giustizia – a mettere in piedi scorrette strategie di commercio (si pensi allo stesso Canada, famoso per le contraffazioni anche ai danni del “Made in Italy”).

Allora quali vantaggi può trarre l’Italia o i Paesi membri dell’UE da una simile contrattazione? Potenzialmente pochi e nella pratica nessuno. Per quello che riguarda i marchi italiani, di certo non hanno bisogno di accordi commerciali come il CETA per valorizzare la loro qualità o aprirsi al mercato estero. Forse era necessario siglare un patto che andasse a tutelare maggiormente le nostre aziende nella competizione del mercato fuori dall’UE, ma abbiamo ben visto come l’attuale intesa annunci tutto tranne che limpidi vantaggi alle nostre realtà. Può aprirci al mercato degli stati canadesi, ma è paradossale pensare come possiamo aprirci all’estero scordandoci delle difficoltà che troviamo già in Italia nel gestire un’impresa… una mossa che nel pratico invece metterebbe l’investitore estero nella miglior posizione per fare mercato nel nostro Paese o rilevare una nostra realtà imprenditoriale senza grandi problemi. Non tocca solo il settore privato il CETA, ma anche quei servizi pubblici che fanno sponda ad aspetti commerciali: pensiamo a elementi di primaria – e fondamentale – necessità come l’acqua e l’utilizzo delle terre, che potrebbero essere messi in discussione dai vincoli commerciali proposti qui.

Il Parlamento Europeo si è già mostrato largamente favorevole alla soluzione di quest’accordo commerciale, trovando anche i voti italiani di Forza Italia e Partito Democratico. Pazienza se sulla questione non siano stati sentiti – neanche per sbaglio – gli imprenditori locali o le associazioni di settore, che a questa realtà sono totalmente avversi e inizieranno a fare una corposa campagna di sensibilizzazione sul CETA. Sulla stessa linea appaiono anche il Movimento 5 Stelle e la CGIL, che trovano poco trasparente l’accordo e analizzano quali conseguenze potranno affacciarsi sul nostro mercato. Ai contrari però si oppone la maggioranza del Parlamento Europeo, che definisce questa intesa sacrosanta poiché reputano necessario collaborare con il Canada per una condivisione comune di valori e obiettivi. Una mossa insensata e una forzatura progettuale che nel concreto si traduce solo come uno schiaffo morale al “polo populista”: quindi una risposta pratica di politica estera da opporre alle iniziative di protezionismo optate da Donald Trump e Marine Le Pen.

Il CETA fortunatamente ancora non è realtà, poiché il Parlamento di ogni Stato membro dell’UE dovrà rivedersi favorevole a questa soluzione commerciale o salterà il tavolo della proposta. L’augurio è che in Italia ci sia una forte campagna d’informazione riguardo tale scenario e che i nostri parlamentari – al momento del voto – scelgano il nostro destino con cognizione di causa e responsabilità: ora più che mai serve!