Belgium Attacks

-A cura di Filippo Del Monte e Francesco Severa – Fumo grigio si innalza dalle macerie dell’aeroporto di Zavendem e dalle linee sotterranee della metro di Maelbeek, tra i palazzi altrettanto grigi delle istituzioni dell’Unione Europea. Un ultimo, forse non definitivo, squarcio all’anima di quello che per decenni è stato un sogno ed una speranza, ma che oggi assomiglia sempre più ad un incubo e ad un angoscioso pensiero. Qualcuno si è affrettato a dire che colpire il Belgio significa colpire l’Europa. Ma di quale Europa parliamo? Ad oggi ad un’Europa che è necessità spirituale di una civiltà si è preferita un’Europa votata alla decadenza, perché schiava di un conformismo al ribasso che rifiuta le mille anime che l’hanno resa l’unico spazio geografico dove l’Uomo è riuscito a pensarsi sincreticamente individuale ed universale. Una decadenza che ha trasformato la libertà in libertinismo. A simboleggiarlo c’è un’Unione che ha perso la sua spinta propulsiva, trasformandosi in un mostruoso leviatano burocratico, più attento al diametro delle arance che alla costruzione delle coscienze; a simboleggiarlo c’è un’Unione che ci offre un’unica moneta ed un unico mercato, ma che non ha saputo dare una risposta a quel bisogno, sentito profondamente da ogni popolo tra le colonne d’Ercole e gli Urali, di riconoscersi in quell’unica visione dell’Uomo, del mondo e della storia che condividono; a simboleggiarlo c’è un’Unione che alla mancanza di Weltanschauung ha risposto con la costruzione di posticce sovrastrutture, che – rovesciando l’analisi marxiana -, essendo l’essenza profonda dell’Europa spirituale, rappresentano la versione materiale e contemporanea dell’oppio dei popoli. E’ di questa Europa che il Belgio è simbolo. Quel Belgio, terra in passato di profonda fede e cultura, che si gloriava di partecipare all’universale ispirazione del cattolicesimo con lo slancio delle figure del Polittico di Van Eyck, oggi, in nome di una distorta lettura del “libertè, egalitè et fraternitè”, ha abdicato alla sua identità, trasformandosi nel paese dell’eutanasia ai bambini e dell’assimilazionismo radicale. A questa gioiosa autodistruzione sembra avviarsi tutto il nostro vecchio continente. Guardando oltre la coltre di fumo di questa Europa materialista si scorgono due grandi forze che hanno plasmato più di tutte l’identità del Vecchio Continente nel corso dei Secoli: l’Impero e la Cristianità, con le loro visioni universalistiche che hanno fatto dell’Europa un faro per il resto del mondo.

ESSERE EUROPA: UNITA’ IMPERIALE

L’Europa è stata “plasmata” seguendo le sinuose linee tracciate dalla Roma dei Cesari, Potenza imperiale per eccellenza, capace di prendere il meglio dei popoli sottomessi, di ampliare e costruire una cultura universale senza snaturare la propria. La forza di Roma non risiedeva solo nella potenza dei suoi eserciti, ma anche nella percezione della sua “missione sacra” di portare al mondo la civiltà. Sul Palatino nacque quel concetto, oggi purtroppo astratto ed astruso, di “primato” culturale e politico dell’Urbe. Un primato che imponeva per forza di cose la conquista e la preservazione di uno sterminato impero ove poter “riprodurre” Roma, ed al contempo nutrirla di una nuova linfa. Spettò all’Impero Romano d’Oriente raccogliere questa importante eredità. Sotto Giustiniano fu elaborata la teoria della Renovatio Imperii, cioè della riunificazione dell’Occidente e dell’Oriente nel segno di Roma, ormai divenuta più una “forma dello spirito” che un’entità politica vera e propria. Eppure il mito di Roma fece breccia anche nell’Europa occidentale con la formazione del Sacro Romano Impero, più che forza politica, unione tra la volontà “romana” e la percezione di sacralità che il Cristianesimo alto-medievale emanava. Con la nascita degli Stati nazionali e la germanizzazione del Sacro Romano Impero, la visione universalistica imperiale perse la sua capacità attrattiva. Pensare però che tale visione non abbia lasciato un’eredità forte sarebbe sbagliato. Se l’Europa di oggi può considerarsi come un unico corpus, non è certamente dovuto solo ed esclusivamente al suo sfrenato “mercatismo”. Il mercatismo, il monetarismo ed il libertinismo hanno generato il “pensiero debole” di questa “civilissima” Europa, ma i germogli dell’identità comune, capaci di sbocciare nonostante le sacrosante differenze storico-culturali degli Stati, sono un collante più forte di qualunque pareggio di bilancio o di qualunque piazza colorata con i gessetti. I “padri nobili” della vera Europa sono Ottaviano Augusto, Carlo Magno, Federico II, Carlo V e, perfino, Napoleone, che con la loro opera costruirono l’impalcatura su cui si poggiò il “primato” imperiale del Vecchio Continente. Negli anni ’30 Asvero Gravelli, ideologo dei Comitati d’Azione per l’Universalità di Roma, parlò di “Europa romana e cattolica” da opporre ai disegni egemonici della Germania nazista capace di “resuscitare il tetro Wotanismo”, alle ingerenze dell’impero mercantile britannico ed all’europeismo propriamente detto. Oggi la sfida lanciata da Gravelli è più attuale che mai perché l’Europa unita nelle sue diversità, in altre parola quella “imperiale”, deve affrontare non solo il nemico esterno – che non è esclusivamente la degenerazione dell’Islam chiamata ISIS – ma anche quello, ben più infido, interno rappresentato dal “pensiero debole” diventato egemone.

ESSERE EUROPA: SPIRITO SENZA FRONTIERE

Spesso si commette l’errore di guardare al passato con nostalgia, quasi che, dovendo recriminare al presente le sue miserie, ci si voglia consolare girando indietro la testa; ma altrettanto errata è la convinzione che del passato si possa fare a meno, quasi fosse un peso per le nuove splendide sorti che il progresso sta tracciando per l’umanità. Al contrario comprendere il passato, capire le ragioni del susseguirsi degli eventi, guardare alla storia significa innanzitutto rispondere al quesito che, forse, più di qualsiasi altro spaventa oggi la nostra civiltà europea ed occidentale. Chi siamo? Cosa significa essere europei oggi? Questa profonda paura, che impedisce di chiarire, prima di tutto a noi stessi, di quale mondo siamo eredi, è forse il più grande ostacolo che incontriamo a poter pensare quale futuro si possa costruire. Una paura che troppo spesso si trasforma in un insensato e meschino senso di colpa. Abbiamo unito l’Europa su sterili, freddi e incomprensibili parametri, ma abbiamo dimenticato perché lo abbiamo fatto. E per riscoprirlo basta guardarsi intorno. La nobilissima idea di cancellare le nostre frontiere interne non è figlia di una logica meramente economica. E’ al contrario la constatazione che non aveva frontiere la fede che spingeva, già mille anni fa, dalle piane dell’Oder e dalle tante campagne d’Italia, miriadi di pellegrini ad andare a riconciliarsi con Dio, dopo un estenuante viaggio, sulle coste dell’Atlantico, dove, unico tra gli apostoli, si era spinto San Giacomo; è la constatazione che non aveva frontiere quel sentimento del bello che portava ogni capitale, città e villaggio del Vecchio Continente ad innalzare cattedrali, chiese e pievi, che eternamente rammentassero agli uomini che Cristo, morto e risorto, li ha resi liberi; è la constatazione che non aveva frontiere l’idea che esistesse una legge divina, superiore a tutte le leggi umane, portatrice di valori che nessuno poteva mettere in discussione. Ogni uomo che abitasse queste terre sapeva di essere parte di una civiltà nata da quell’incontro, fortuito ma fortunato, tra Atene e Gerusalemme, e portatrice per questo di un pensiero civilissimo ed assoluto. Una civiltà che nel cristianesimo diveniva civiltà archetipica. Così forte da essere capace di definirsi cattolica, cioè universale, nella Roma dei papi e poi da essere capace, soprattutto nel protestantesimo, di modellare il mondo secondo un ideale realizzabile. Non si nasconde forse un tentativo di universale primazia della bellezza dietro la grazia edenica del giovanissimo volto di Maria, squarciato dal dolore, della Pietà di Michelangelo? Non si nasconde forse un tentativo di universale primazia civile nel canto di Blake alla sua Inghilterra, che recita “and was Jerusalem builded here, among these dark Satanic Mills”? Questa vocazione universale, figlia legittima del cristianesimo e reale motore dello sviluppo europeo, è oggi offuscata dalla dittatura di un relativismo innalzato a religione laica, che ha reciso le nostre radici per creare una società che ha nel contrasto al limite la sua missione. Una società inumana. Non può essere il rimpianto di epoche oramai passate la nostra arma contro la desertificazione dello spirito. Ma comprendere la nostra identità ci permette di capire su quali basi si possa cominciare a ricostruire, comprendendo quale sia la strada migliore per continuare ad andare sempre più in alto.