Al via la fatturazione elettronica per le imprese. Come funziona e quali sono i rischi per le imprese.

A cura di Luca Zanon – L’Italia ha un rapporto conflittuale con la tecnologia. Siamo uno dei mercati più floridi per quanto riguarda la telefonia mobile: gli smartphone si vendono come il pane e l’utilizzo di massa della rete internet mobile è una particolarità tutta italiana motivata, in parte, dalla convenienza dei piani telefonici italiani.

Siamo uno dei mercati più grossi al mondo per i videogiochi, la domotica sta andando piuttosto bene (anche se è un settore acerbo). A prima vista, quindi, si potrebbe definire l’Italia un paese mediamente digitalizzato. E, almeno sul lato consumer, è cosi’.

Tuttavia, non produciamo tecnologia: non abbiamo nessun produttore italiano di smartphone o altri apparecchi hi-tech, per le infrastrutture di internet ci appoggiamo ad aziende estere perché non facciamo ricerca e sviluppo, non abbiamo software house che producano videogiochi, sulla domotica andiamo meglio ma le poche realtà attive si occupano al massimo del mercato interno, senza nemmeno provare a penetrare mercati esteri. E poi ci sono i non addetti ai lavori: l’azienda tipo italiana ha un cuore di carta, ed il gestionale che viene utilizzato oggi spesso non fa nulla in più di un gestionale di 10, 20 o 30 anni fa. Il fax è diffusissimo ed è lo strumento di comunicazione principale per moltissimi settori. E le aziende che utilizzano fogli di calcolo anziché calcolatrici sono ancora rare.

In questo contesto, c’è la Pubblica Amministrazione Italiana. Quel mondo magico dove l’87% di tutti i procedimenti prevedono almeno una firma autografa, un’apposizione di un timbro, una sigla a margine, una bollinatura o comunque altre procedure analogiche per creare un documento. Dove si prevedono corsi di aggiornamento per insegnare al dipendente pubblico l’utilizzo delle email (con scarsi risultati, tra l’altro). Dove, le volte che si tenta di digitalizzare alcuni processi, i dirigenti (e la politica, va detto) non sanno dove mettere le mani e quindi creano gestionali ancora più complessi e macchinosi rispetto all’alternativa analogica.

Se Sparta (il privato) piange, quindi, Atene (la PA) di certo non ride. In un sistema che si alimenta da solo, al privato sta bene restare alla carta, e la PA è ben lieta di non svegliare il cane che dorme.
Ma c’è un però. Una parte della PA è tutt’altro che indietro dal punto di vista digitale: l’Agenzia delle Entrate ha sempre sfruttato ogni nuova tecnologia per aumentare la portata dei controlli sul cittadino. Ed ovviamente ha sempre fatto pagare al cittadino il privilegio di essere controllato più attentamente. Quindi abbiamo avuto gli studi di settore, calcoli statistici basati sugli indicatori fondamentali delle aziende, volti a stabilire se un’azienda fosse
congrua. Abbiamo avuto la PEC, uno strumento ridicolo figlio di un’altra tipicità tutta italiana, la raccomandata A.R. Lo spesometro, un’intrusione nella contabilità delle aziende italiane volta a trovare evasori, veri o immaginari poco importa.
D’altronde, quando si parla di Agenzia delle Entrate non si parla mai di bruscolini: in caso di sbagliata dichiarazione dei redditi, ad esempio, oltre al dover pagare quanto dovuto allo Stato, vengono comminate sanzioni che vanno dal 90% al 180%.
Salassi draconiani che non tengono conto della possibilità che vengano commessi errori in buona fede, ed a cui si applica il solve et repete: PRIMA paghi, poi, se vuoi, puoi contestare la sanzione. E quindi un errore di battitura che ti fa involontariamente risparmiare 500 euro ti può costare quasi 2000 euro, in una perversa legge del taglione moderna.

Ed oggi siamo di fronte alla più grande operazione di digitalizzazione coatta mai messa in piedi nella storia dell’Uomo: la fatturazione elettronica obbligatoria tra privati.

Ma cosa c’entra l’Agenzia delle Entrate con la fatturazione tra privati? E’ presto detto: il sistema ideato dai tecnici del ministero prevede che l’Agenzia entri in possesso della fattura ancora prima che venga consegnata al destinatario, che poi deve anche provvedere alla conservazione (a spese sue, e scegliendo da una lista di possibili fornitori del servizio redatta dal Ministero stesso).
Di per sé, come ogni efficientamento digitale, la fatturazione elettronica è un’opportunità: di abbassare i costi, di migliorare il controllo qualità, di lavorare meno e meglio. Tuttavia, al Grande Fratello non interessa, ovviamente, dare una spinta alla digitalizzazione italiana. La tecnologia, come ho detto prima, è funzionale a far cassa, non certo ad aumentare la produttività di una delle PA più inefficienti d’Europa.

E l’obiettivo non è nemmeno controllare di più o meglio la contabilità delle aziende, in cerca di errori con cui salassarle: lo spesometro, con l’invio dell’importo di tutte le fatture in entrata ed in uscita emesse ogni 3 mesi già permetteva di fare tutti i controlli contabili possibili senza alzarsi dalla scrivania.

No, ciò a cui punta l’Agenzia è avere l’accesso completo a tutti i magazzini di tutte le aziende Italiane. Poter controllare cosa succede ad ogni singolo bene prodotto o commerciato in Italia. D’altronde, è l’unica spiegazione per l’obbligo, ad esempio, di inserire le bolle per esteso nelle fatture differite. Oppure del fatto che non sono previste deroghe per nessuno se non per superminimi e forfettari, che non possono commerciare beni ma possono solo fornire servizi personali. L’Agenzia vuole diventare una psicopolizia orwelliana, capace di contestare un errore di battitura, un calo di peso anomalo, un errore nell’indicazione dell’aliquota IVA, all’interno di una delle centinaia di milioni di fatture scambiate. Applicando le sanzioni draconiane di cui sopra e generando quindi la più grande invasione della privacy dei cittadini da parte dello Stato mai perpetrata fino ad oggi. Con la notabile differenza che Facebook al massimo usa i nostri segreti per vendere pubblicità, mentre l’Agenzia li usa per mandarci sul lastrico.

E la cosa più drammatica, che rende tutta la situazione grave ma sicuramente non seria, è che la gran parte delle aziende, dei professionisti, dei partiti politici e delle associazioni di categoria non ha preso sul serio l’obbligo fino ad ottobre, scommettendo tutto su deroghe e proroghe perché tanto siamo in Italia, bruciandosi, quindi, la possibilità di mitigare la normativa prima che iniziasse ad avere effetti.

No, cari miei, sui soldi lo Stato non gioca, soprattutto se si tratta dei vostri.