– di Filippo Del Monte – Si è concluso domenica 3 dicembre il secondo Congresso nazionale di Fratelli d’Italia a Trieste; assise che ha sancito l’inizio di una fase “3.0” del partito di Giorgia Meloni dopo la sua nascita ed il suo tentativo di riunire la vecchia comunità che si rispecchiava in Alleanza Nazionale. Difendere e ricostruire il perimetro della destra politica italiana dopo il disastro del PDL e la brutta parabola finiana; se questo è stato l’obiettivo iniziale di Fratelli d’Italia agli albori, oggi lo scopo è più ambizioso ma quantomai necessario: costruire il movimento dei patrioti.

La scelta di FdI si colloca sulla stessa lunghezza d’onda del Front National – qualora si volesse cercare un riferimento all’esterno dei nostri confini – alle ultime presidenziali francesi: quello di Marine Le Pen è stato un partito compatto sui “valori non negoziabili” ma non nostalgico; infatti l’identitarismo sfrenato può diventare politicamente incapacitante se non si è in grado di evolversi. Non è un caso che nelle tesi congressuali triestine abbiano trovato spazio riferimenti e proposte legate alla cultura ed alle priorità delle destre italiane e non di una specifica “destra” missina prima ed aennina poi. Ecco che nel programma di Fratelli d’Italia hanno così trovato centralità le tematiche demografiche, di difesa del Made in Italy e del lavoro nazionale, la necessità di ridare allo Stato l’autorità necessaria senza dover però creare un mostro burocratico, una rinnovata attenzione nei confronti della Russia di Putin ma al contempo uno sguardo nuovo al Gruppo di Visegrad, gli interessi strategici ed economici italiani nel Mediterraneo.

Importante nella relazione finale di Giorgia Meloni è stata poi la “chiamata” del partito agli intellettuali della destra diffusa, un invito che ha avuto il sapore delle “scuse” della destra politica nei confronti della destra culturale. La Meloni non ha esitato infatti ad ammettere l’errore madornale compiuto da FdI alla nascita e protrattosi fino ad oggi: aver aborrito l’analisi, aver preferito sempre la sintesi, anzi, lo slogan facile da dare in pasto all’elettorato.

Adesso più che mai c’è bisogno di un contributo culturale per costruire l’impianto teorico e culturale del “movimento dei patrioti” non solo in vista delle vicinissime scadenze elettorali, ma anche per il futuro. Specie nella prima parte delle tesi, quella che riguarda l’impianto “ideologico” di Fratelli d’Italia si è sentita forte la mancanza di un gruppo intellettuale vicino al partito: interessante il richiamo al “soggettivismo nazionale“, alla scelta di essere parte d’una comunità nazionale, al dato biologico messo in secondo piano rispetto a quello spirituale eppure ad esso strettamente legato, ma la conclusione non può essere legata alla frase “amare la Patria è la nostra missione” perché per un partito nazionalista l’amor di patria è la base da cui partire e non lo scopo ultimo dell’azione politica. Compito di quella frangia della destra culturale che sceglierà di avvicinarsi a FdI deve essere quello di dare una “continuazione” alle tesi congressuali che sono state un bel prologo, una buona – anche se a tratti nebulosa – descrizione di quel che il “movimento dei patrioti” è ora ma non di quello che aspira ad essere.

Parlando del congresso di Trieste non si può non affrontare una sua pagina importante, anzi, quella che a tratti ha assunto un valore centrale, e cioè l’intervento di Guido Crosetto. Il fondatore di FdI ha infatti sottolineato come più di qualcuno nel partito abbia ricevuto incarichi che poi non è stato capace di sfruttare, che più di qualcuno ha ricevuto stellette “per raccomandazione” ma senza meritarsele, che molto spesso quelli che hanno ben operato e meritato sui territori sono stati frenati dalle lungaggini, dai litigi e dalla disorganizzazione del partito. Meritocrazia e ricambio della classe dirigente, questa la sintesi delle richieste e degli inviti fatti da Crosetto alla platea ma con occhio rivolto anche al tavolo di presidenza del congresso.

C’è voluto qualcuno che avesse una visione dall’esterno – perché Crosetto aveva smesso di fare politica attiva – per capire quali fossero i problemi interni a FdI; quegli stessi problemi che ne hanno bloccato la crescita al 5% ben più dell’ascesa a destra della Lega Nord o dell’adozione del simbolo di Alleanza Nazionale. Si affrontassero i problemi interni al partito, questa è la chiave di volta per la comprensione di tutti i “malanni” di Fratelli d’Italia, il resto sono quisquilie. Se il partito sarà capace di fare i conti con sé stesso, di capire dove ha sbagliato – chi scrive ha una sua idea in merito ma ci si può arrivare anche da soli – allora l’intervento di Crosetto in questo congresso avrà raggiunto il suo scopo e non sarà stato solo uno sfogo importante, sentito, ma personale.

Sul tema della coalizione hanno detto bene Fabio Rampelli e Giorgia Meloni. Se un alleato della coalizione – Forza Italia – ha una cultura fortemente liberista, il compito di FdI nel centrodestra di governo è quello di temperare il liberal-liberismo forzista con forti “iniezioni di socialità” per riprendere le parole del capogruppo alla Camera Rampelli. Lo Stato sociale del “movimento dei patrioti” è infatti meritocratico, sburocratizzato e leggero, ma sempre legato a doppio filo con l’idea che un apparato statale debba essere al servizio dei propri cittadini, sorreggerli, sostenerli nella loro vita quotidiana. Al contempo Giorgia Meloni ha detto che le coalizioni “non sono un obbligo” e che FdI non ha alcuna intenzione di fare da “stampella” a Forza Italia e Lega Nord; la destra non è subalterna, è avanguardia del centrodestra e, qualora non si trovasse una sintesi programmatica condivisa, FdI non avrebbe problemi né remore a percorrere altre strade. Un avvertimento questo a chi vorrebbe dettare la linea e decidere anche per conto di altri senza consultarli.

Giorgia Meloni sul palco del congresso di Trieste

Veniamo poi alla questione legata al nuovo simbolo del partito: il celeste precedente viene sostituito dal blu scuro; scompaiono i cordoni sostituiti da una linea tricolore orizzontale e resta la fiamma amputata però della sua storica base trapezoidale con la scritta MSI. Una operazione ipocrita l’ha definita qualcuno, il tentativo di accaparrarsi i voti dell’elettorato missino senza però volersene accollare anche la storia. Questo era il rischio che già era stato denunciato in un nostro articolo in tempi non sospetti – agosto 2016 – e cioè quello di impantanarsi in una “battaglia grafica” sul simbolo di Fratelli d’Italia che avrebbe dovuto per forza di cose perdere i suoi riferimenti ad AN prima o poi.

Ebbene, chi oggi accusa FdI di aver cambiato simbolo per una mera operazione di marketing elettorale non ha forse compreso lo spirito stesso del congresso triestino: tentare di costruire un nuovo pezzo di storia della destra italiana con lo stesso simbolo sì – la fiamma tricolore – ma senza la stessa base; anzi, la linea blu che “sorregge” ora la fiamma va vista come il primo mattone di una nuova “base portante” tutta da costruire e riempire di contenuti. Il nostalgismo esasperato non paga, fare testimonianza potrà anche essere bello ma è sterile e su questo ha più di qualche ragione Giorgia Meloni. Del resto la necessità per la destra italiana di ridare centralità alla “politica” relegando la “testimonianza” in secondo piano è il mantra che fin dal congresso nazionale di Gioventù Nazionale ad Atreju sta accompagnando il nuovo percorso “patriottico” di Fratelli d’Italia. Quella di Fratelli d’Italia è una storia fatta di chiaro-scuri ma è la storia di una comunità umana e politica che merita attenzione; è una storia con molti limiti ma anche qualche importante pregio; è una storia ancora in divenire e che come tale va giudicata senza fare il gioco di chi vuole essere “duro e puro” ma non ha più né possibilità né credibilità.

Il nuovo simbolo di Fratelli d’Italia.