A cura di William Signorelli – Viviamo nell’epoca della retorica, dei cliché e delle frasi di circostanza. “Le nuove generazioni rappresentano la futura classe dirigente” oppure “il domani vi appartiene”. Queste sono solo alcune delle affermazioni con cui un intero segmento giovanile si trova a convivere ormai da decenni.40. Questo non è soltanto un numero tra tanti, ma è il fardello che i giovani italiani sono costretti a portare sopra le loro spalle quotidianamente. 40% è il tasso di disoccupazione giovanile nel nostro paese secondo i dati ISTAT del 2017. Mentre i governi che continuano a susseguirsi discutono su tassi di crescita economica che sarebbero ridicoli persino per i paesi definiti del “terzo mondo” vi è un intero segmento del nostro paese che si trova completamente privo di opportunità e soprattutto di possibilità. Come direbbero nei paesi anglofoni “Who Cares?”. È questo il punto fondamentale della questione. “il domani vi appartiene”, ma di quale domani si parla? Di quello caratterizzato da continue migrazioni di intere generazioni costrette a lasciare il proprio paese alla ricerca di fortuna altrove?

È qui che è evidente il fallimento dell’Italia come sistema-paese. Mentre paesi come Canada o Australia negli ultimi anni hanno inaugurato campali campagne di assunzioni per laureati italiani, i governi che si sono succeduti o più in generale il sistema politico ha preferito dare maggiore importanza ad un sistema di riforme basate sul “guardiamo al futuro”. Sorge spontanea una semplice domanda: “cosa resterà di queste riforme se il tasso di natalità continuerà a ridursi e ogni anno sempre più giovani lasciano il bel paese? A chi serviranno queste riforme ?”

“i giovani hanno perso interesse nei confronti della politica e non si interessano più della cosa pubblica”. Questa è l’accusa più popolare che negli ultimi anni viene mossa alle nuove generazioni. Chiaramente questa assunzione ha un fondo di verità, ma è necessario indagarsi sul perché si è arrivato a tanto. I partiti politici italiani (se ancora e lecito definirli tali) sono i primi responsabili di questo disastro in quanto è venuta meno una sana e fondante impostazione culturale. Siamo stati il paese che ha dato i natali a filosofi del calibro di Gentile o Gramsci che con i loro scritti contribuivano ad un dibattito culturale ed ideologico. Ora siamo la nazione dove l’intero dibattito politico ruota attorno a slogan post-bellici o banali accuse personali che non hanno alcun carattere politico. Come pretendere di catalizzare in questo modo l’interesse giovanile?

I giovani non si interessano più, in parte è vero, ma la politica non fa nulla per arginare questo preoccupante fenomeno se non favorire una continua fuga in altri lidi. È necessario che qualcosa cambi oppure saremo destinati a perire con l’etichetta di “paese per vecchi”.