-di Michele Gottardi-  Dopo otto anni alla Casa Bianca durante i quali ha voluto essere dipinto come una persona pacifica e cordiale, Barack Obama ha gettato la maschera e ha svelato la sua vera identità: un uomo poco rispettoso del verdetto popolare e un leader molto scarso in politica estera. Non passa giorno infatti in cui l’attuale Presidente americano non attacchi personalmente e politicamente il manager newyorkese che presto prenderà il suo posto, tanto da far dire a quest’ultimo: “Sto facendo del mio meglio per ignorare le dichiarazioni incendiarie del Presidente”. Obama inoltre sembra non aver imparato la lezione data ai Democratici alle elezioni, ma, a livello di politica estera, sta continuando a prendere decisioni politicamente rilevanti (e preoccupanti) anche se il suo mandato scadrà a breve. Oltre a non essere riuscito a siglare un accordo con il Presidente turco Erdogan (i cui rapporti con gli USA si sono incrinati dopo il fallito colpo di Stato) e men che meno con il regime siriano di Assad, negli ultimi giorni ha assunto una posizione pericolosa e inaudita per un Presidente americano: rompere la storica alleanza politica e culturale tra Stati Uniti e Israele. La decisione è emersa qualche giorno fa in seno all’ONU, quando gli USA hanno deciso di non porre il veto (prerogativa concessa anche a Cina, Russia, Regno Unito, Francia) su una mozione concernente la necessità di “distinguere tra il territorio dello Stato di Israele e i territori occupati nel 1967” e la condanna agli stabilimenti israeliani in Palestina definiti “illegali” e pericolosi per la “soluzione dei due Stati”. La proposta era stata inizialmente presentata dall’Egitto, salvo poi ritirarla su richiesta di Trump, la cui politica filo-israeliana è coerente non solo con i valori repubblicani, ma anche con la storia politica dell’America; di fronte a questo passo indietro, l’attuale Presidente, tramite i suoi funzionari, ha fatto sì che venisse ripresentata da Malesia, Venezuela, Nuova Zelanda, Senegal e ha preteso che gli Stati Uniti non facessero nulla per bloccarla. C’è da smentire innanzitutto la definizione dei territori occupati da Israele come “illegali”: essi sono “disputati” secondo le risoluzioni del 1967 e le normative internazionali non sono mai state violate, oltre al fatto che le zone occupate non mai state “palestinesi”, ma giordane. Inoltre la vera difficoltà nel raggiungere un accordo con i palestinesi per la costituzione di due Stati è il loro rifiuto di accettare l’esistenza dello Stato d’Israele. Una risoluzione come quella votata non tiene conto del fatto che gli insediamenti israeliani sono indispensabili alla sicurezza nazionale e soprattutto conferisce una storica vittoria per i palestinesi che non hanno mai del tutto preso le distanze dal terrorismo islamico.
L’approvazione della mozione ha scatenato l’imbarazzo degli Stati occidentali e l’ira di Trump, che ha tuonato contro l’ONU definendolo un “club da chiacchiere” e ha precisato: “Non possiamo continuare a trattare Israele con disprezzo e mancanza di disprezzo”. La dichiarazione è stata molto apprezzata da Netanyahu che, oltre a condannare la posizione assunta da Obama, ha esultato dicendo: “Presidente Trump, grazie per la calorosa amicizia e il netto sostegno a Israele!”.
Dal canto suo Barack Obama non si è scusato dell’incidente diplomatico, ma, tramite il Segretario di Stato John Kerry, ha ribadito che gli insediamenti rendono più difficoltosa la pace con i palestinesi, intravvedendo nella costituzione di due Stati l’unica strada possibile.
Per siglare finalmente un accordo definitivo tra Israele e il territorio palestinese è indispensabile senza dubbio un passo indietro di entrambi. Tuttavia il mancato sostegno statunitense a uno Stato come quello di Israele, che costituisce un unicum nell’area mediorientale per la sua democraticità e modernità, costituisce un errore ingiustificabile, considerata la minaccia dell’ISIS e di altri movimenti estremisti (anche palestinesi), che hanno dichiarato guerra anche al popolo ebraico, considerato un nemico alla pari dei cristiani. L’ONU e l’America non solo non hanno alzato la voce per difendere i valori e l’identità occidentale, ma si sono chinati ai fautori di un rigenerato odio antisemita, figlio dell’islamismo più radicale da decenni legato ai palestinesi.
Fortunatamente la presidenza Obama sta per terminare e il Nobel per la Pace terminerà di effondere discordia tra i leader mondiali; ci attendiamo che gli USA tornino ad essere i veri protagonisti della politica mondiale, ripristinando il loro ruolo primario: difendere l’Occidente contro tutti i suoi nemici.