-a cura di Antonio Pezzopane e Simone Paris- Chi l’avrebbe mai detto, tra i paradossi che la modernità ci impone di sopportare da qualche giorno a questa parte c’è anche quello di dover sperare in un po’ di “sano” maltempo. Sarà che in questi giorni di festa l’informazione della carta stampata cerca affannosamente carne da mettere sul fuoco, così all’improvviso l’attenzione sull’inquinamento delle nostre città va alle stelle. Eppure è un problema antico, strutturale come ci siamo abituati a sentire, che è più profondo di come ci viene presentato in queste ore. È vero le emissioni di Co2 dei motori si sono ridotte decisamente attraverso i decenni, ma il patrimonio edilizio delle nostre città è rimasto lo stesso: obsoleto, inadeguato sotto il profilo energetico, eredità di anni nei quali il deficit di cultura ambientale si saldava con la maggiore convenienza economica di un certo modo di costruire. Contrariamente a quanto pensiamo non sono solo industrie e trasporti a fare massa critica nelle emissioni (pesano rispettivamente per il 20% ed il 40%), ma anche gli uffici dove lavoriamo e le case che abitiamo. Tutto questo ci suggerisce che tentare anche solo di tamponare il problema con targhe alterne e stop del traffico equivale al tentativo di far solletico ad un gigante con uno stuzzicadenti.

Come risolvere il problema? Risolvendone uno che, se possibile, fa male ancora di più perché toccato con mano da molti italiani ogni giorno: modernizzare le nostre città.
Modernizzare le città vuol dire intervenire in maniera invasiva sulle stesse con azioni che ne vanno a mutare completamente il volto, rendendolo sicuramente migliore e maggiormente green.
I campi in cui poter modernizzare le città sono tantissimi: dalla mobilità alle infrastrutture in generale, dai servizi offerti per giungere fino all’ambiente o al processo edilizio di realizzazione degli edifici.

Sotto il profilo della mobilità la Capitale, una su tutte, è ai livelli che Parigi e Londra vivevano tra le due guerre. Se la cava decisamente meglio Milano tra le metropoli italiane, ma è un’isola di un arcipelago fatto da città per lo più al Nord, fatta eccezione per Napoli che vive da qualche anno a questa parte una rivoluzione delle sue infrastrutture (innestandosi in un tessuto urbano che conserva problemi enormi).

Modernizzare il processo edilizio sarebbe sicuramente un grandissimo miglioramento soprattutto in un Paese come il nostro in cui non esiste una “cultura della sostituzione”, e ciò provocherebbe uno stop all’eccessivo consumo di suolo e un nuovo sviluppo di un settore locomotiva della nostra economia, quale è sempre stata l’edilizia. È proprio qui il punto, i maggiori successi “di scala” in materia di ecosostenibilità sono venuti quando è riuscita la saldatura con l’economicità di questi processi. Chi ha visitato città come New York si sarà reso conto di come non è raro osservare interi grattacieli in fase di “smontaggio”, certo frutto di un’imprenditorialità più dinamica ma sicuramente anche di “regole del gioco” ad hoc. Rinnovare il processo edilizio vuol dire portare avanti un processo di innovazione tecnologica che permetta un miglioramento delle prestazioni energetiche dell’edificio con l’impiego di nuovi materiali e di nuove tecniche costruttive.

Il problema dello smog e dell’inquinamento è un problema assai serio che mette in pericolo la salute delle persone e non può essere certo risolto con provvedimenti spot come le targhe alterne, il blocco totale o parziale del traffico che mitigano la situazione per alcune ore o per alcuni giorni.

Si sente la necessità di un intervento a gamba tesa, un intervento deciso che non guardi all’oggi, ma ad un domani inteso come i prossimi dieci, venti anni. E’ imprescindibile una programmazione a lungo termine per cercare di alleviare questo problema, intrinseco nella società moderna fin dall’inizio del suo sviluppo.
Il patto salva-clima firmato a Parigi durante la Cop21 si muove sicuramente in questa direzione ma queste disposizioni, questi accordi non devono fungere da cartastraccia come è stato il ben più famoso Protocollo di Kyoto del 1997: devono divenire un mantra nella gestione delle questioni ambientali perché non rappresentano i semplici interessi economici o commerciali di alcune nazioni, ma riguardano la salute e il benessere dei 6 miliardi di abitanti che vivono sul Pianeta Terra.