Una lettera straordinaria di un giovane con indole risorgimentale, dedicata ai suoi coetanei.

A cura di Luca Zanon – Si dice che la nostra identità si cristallizzi a 25 anni.

Ogni progresso, tecnologico, sociale o culturale che viviamo oltre questa fatidica età genererebbe in noi una crescente insofferenza, grazie ad una piccola vocina che, nella nostra testa, inizierebbe a farci notare come “era meglio prima”.

Oggi, il primo giorno del 2019, ho deciso di scrivere una lettera a quelli che, come me, questa vocina ce l’hanno sempre avuta; quei pazzi con nostalgie di epoche che non hanno mai vissuto, di tecnologie che non hanno mai utilizzato, di cultural waves che hanno conosciuto solo tramite le cronache dell’epoca. Ed ho deciso di farlo perché, quest’anno, raggiungeranno la maggiore età dei ragazzi nati dopo il 9/11. Visto che tra questi ci sarà qualcuno colpito dal mio stesso morbo, mi sono reso conto che, per la prima volta, questi giovani conservatori proveranno nostalgia per cose che ho vissuto in prima persona; e voglio, quindi, dargli dei consigli su cosa tenere e cosa lasciare dei pazzi anni 2000.

Caro conservatore dei primi anni ’20,

I miei anni non hanno ancora un nome, ma so che già ti mancano, anche se non li hai vissuti. Per cui voglio darti alcune indicazioni su cosa tenere e cosa lasciare.
La tecnologia? Una figata. I primi anni 2000 sono gli anni del primo internet. Noi siamo stati la prima (e forse l’unica) generazione che ne sapeva di più dei propri genitori. Un vantaggio competitivo incredibile: ha significato, per milioni di ragazzi, avere la possibilità di comunicare su un piano totalmente vergine, irrintracciabili ed incontrollabili dai propri genitori. I nostri insegnanti non conoscevano Wikipedia, noi si. La tecnologia è stato il nostro rock, il vantaggio competitivo con cui riuscivamo a definirci come novità rispetto a chi ci ha preceduto. E, a differenza vostra, avevamo praterie sconfinate da esplorare senza che la nostra mamma ci controllasse gli accessi su Whatsapp.

L’economia? Un po’ meno. Negli anni 2000 abbiamo pagato gli eccessi del decennio precedente, ed una classe politica non troppo illuminata si era illusa che bastasse il fatto di essere l’Occidente per proteggerci dalla povertà. Per i primi anni, sfruttare la formidabile leva della finanza per alimentare dei modelli economici inefficienti ha funzionato, ma poi è arrivato il 2008, ed abbiamo scoperto che il mercato del lavoro che ci accoglieva non sarebbe stato così facile da arrembare come quello che ha accolto i maggiorenni degli anni ’90.

La cultura? Anche qui, si poteva far meglio. Abbiamo creato gli emo ed i truzzi, versioni infighettate dei paninari e dei metallari degli anni ‘80. Ribellioni puramente estetiche, di maniera, che come il manierismo rinascimentale hanno semplicemente raffinato quello che era arrivato prima senza aggiungere nulla. State facendo molto meglio voi ora, con alt-right e SJW. C’è anche da dire che tempi facili creano uomini deboli, e che non c’era molto a cui ribellarsi, come ben ci dimostravano le folle oceaniche che protestavano contro la riforma Gelmini, una moderatissima razionalizzazione della spesa pubblica nel settore dell’istruzione che ha avuto ben pochi effetti reali.

E la politica? Qui ci sono gioie e dolori. Siamo il decennio Berlusconiano. Siamo cresciuti con dibattiti che, a ripensarli, sembravano di lana caprina: leggi ad personam, indipendenza dei media, utilizzo delle sfere di influenza personali. Il tutto condito da un terrore innominabile, quello del terrorismo islamico, che ancora non provavamo sulla nostra pelle ma che combattevamo a migliaia di chilometri da noi, distante ed astratto. Di certo è triste come, a posteriori, si sia fatto poco per prevenire il disastro del 2008 e come il terrorismo non sia stato combattuto prima di tutto nelle menti di chi, 10 anni dopo, avrebbe imbracciato un AK e sarebbe andato a sparare in centro a Parigi. Tuttavia, e questa è la parte salvabile, c’era un insieme di valori condiviso che non veniva messo in discussione: il fatto che la libertà individuale fosse la chiave per il benessere dell’umanità, come anche la proiezione di un futuro radioso e bellissimo, sebbene ci fossero pareri discordanti sul quale fosse questo futuro.

In definitiva, caro conservatore degli anni ’20, sii nostalgico dei miei anni, ma non di tutto. Ricorda la nostra incredibile propensione al futuro, la nostra fiducia nel mondo e negli esseri umani, sii invidioso dell’incredibile vantaggio competitivo che la tecnologia ci dava. Ma sperare di trovarci un ’68, o la ricetta economica per la prosperità. Per quello dovrai guardare più indietro… O più avanti.

Cordiali saluti,

Un abbastanza giovane conservatore dei primi anni 2000