– a cura di Filippo Del Monte – Sono giornate di fuoco in terra libica. Dopo settimane di intensi scontri le milizie dello Stato Islamico sono state sconfitte a Sirte dalle truppe del governo libico di Tripoli. Qualche giorno fa i soldati del generale Khalifa Haftar, fedeli all’esecutivo di Tobruk, hanno occupato i pozzi petroliferi di Zueitina, Brega, Ras Lanuf e Sidra bloccando le esportazioni di “oro nero”.  Quest’ultima eclatante azione di Haftar ha fatto sobbalzare non poche cancellerie occidentali e dagli analisti è stata interpretata come il secco “niet” del generale a qualunque proposta di accordo con il governo di al-Sarraj. Il 15 settembre un comunicato della NOC – National Oil Company, la compagnia petrolifera statale libica – ha annunciato il ritiro concordato delle truppe di Haftar dagli impianti petroliferi. Senza il consenso del generale quegli impianti non avrebbero potuto tornare in funzione e questo dimostra come Haftar non stesse cercando un’escalation ma portando avanti un’azione dimostrativa il cui significato politico è stato chiaro a tutti: Tobruk è ancora in corsa nonostante l’appoggio internazionale dato alla rivale Tripoli.

In questo momento in Cirenaica le forze politiche e militari sono strette attorno a Khalifa Haftar, uomo forte a Tobruk e capace di smuovere consenso non solo tra la popolazione ma anche tra le Potenze straniere come l’Egitto e la Francia, che guardano a lui come un elemento stabilizzante per il futuro della Libia. Il contraltare della coesione di Tobruk è il magmatico scenario politico tripolino, dove Sarraj – nonostante la vittoria conseguita a Sirte – non sta riuscendo nella sua opera di “contenimento” delle mire politiche e delle pretese dei capi tribali e dei signori della guerra presenti nella capitale. Le milizie di Misurata mal tollerano il potere economico e politico dei miliziani di Tripoli (considerati dalle prime come criminali comuni “riciclati” per la politica) e questo fa traballare il già instabile esecutivo. Se le truppe speciali italiane, statunitensi e britanniche non sorvegliassero i palazzi del potere ed i governi di Roma e Washington non avessero assicurato il proprio supporto a Sarraj, molto probabilmente Tripoli sarebbe nuovamente senza governo.

Questo a conferma del fatto che, come già detto in altri articoli, Sarraj non può che essere un leader di transizione, il cui scopo è sostanzialmente quello di preparare il terreno per una futura risoluzione “esterna” della crisi libica. Se Sarraj è ancora in sella è perché Italia e USA preferiscono un premier debole ma amico piuttosto che l’apertura di una crisi interna che avrebbe imprevedibili sbocchi e finirebbe per rafforzare Tobruk e la presa di Haftar su quell’esecutivo. La liberazione di Sirte e la sconfitta dell’ISIS nella Libia occidentale hanno spinto nuovi attori sul campo e regalato un asso nella manica a quanti non hanno alcuna intenzione, tanto  in sede politica a Tripoli quanto sul campo di battaglia, di accettare “ingerenze” straniere di qualunque sorta. L’avvio della Missione Ippocrate da parte italiana potrebbe essere un valido strumento per puntellare ulteriormente Sarraj al suo scranno governativo.

I ministri Gentiloni e Pinotti hanno annunciato che la Missione Ippocrate ha per obiettivo la costruzione di un ospedale presso l’aeroporto di Misurata e sarà composta da 300 uomini tra medici, addetti alla logistica e militari (100 paracadutisti della Brigata Folgore). A disposizione anche un aereo da trasporto C27-J per eventuali evacuazioni strategiche ed una nave di supporto già parte della Missione “Mare Sicuro”. La scelta di Misurata non è casuale; è da quella città che provengono le principali voci di dissenso nei confronti della gestione di Sarraj e sono le sue milizie (vera “espressione politica” della città) ad aver sopportato il peso della battaglia di Sirte. La Missione Ippocrate va così ad essere collegata ad il ritorno, previsto a breve termine, di un ambasciatore italiano a Tripoli: la scelta della Farnesina è ricaduta su Giuseppe Perrone per questo delicato incarico. Un ambasciatore sul campo a Tripoli ed un ospedale perfettamente funzionante a Misurata potrebbero essere il “filo rosso” della gestione italiana della crisi libica; questo però non darebbe garanzie a Roma per la debolezza di Sarraj, ormai divenuta cronica.

Fondamentale per il momento sarà evitare crisi conclamate ora che Sirte necessita di interventi urgenti. La sconfitta della filiale libica dello Stato Islamico si è rivelata essere un boomerang per Sarraj come già qualche analista aveva previsto a causa dei sommovimenti politici della Tripolitania. Contemporaneamente, nonostante non avesse brillato contro l’ISIS sulla linea di fronte Derna-Bengasi, Haftar ha avuto la possibilità di ampliare la sua area d’influenza fin quasi a lambire l’area controllata dall’esecutivo tripolino. L’estromissione di uno dei “concorrenti” dalla partita libica ha ricreato sul campo – pur con qualche leggera differenza – la situazione precedente alla proclamazione del califfato di Derna. Un primo ministro a Tripoli privo di autorità internamente legittimata ed i militari che a Tobruk stanno raccogliendo sostenitori grazie ai propri carri armati che scorrazzano dal Golfo della Sirte ai deserti del Fezzan; non staranno ottenendo successi rilevanti ( l’offensiva lanciata da Haftar sulla costa in contemporanea con l’attacco delle milizie tripoline a Sirte è sostanzialmente fallita) ma la loro presenza si fa comunque sentire.

La percezione di forza che Haftar sta riuscendo a dare è però, appunto, una percezione, dunque bene sta facendo Roma a non dare troppa corda alle richieste del generale per il momento, in attesa che il vento soffi di nuovo in favore di Tripoli. Certo è che, strategicamente parlando, un accordo con Haftar dovrà essere trovato nel più breve tempo possibile, anche cedendogli un ministero di una qualche importanza. Il futuro è sempre incerto in Libia ed ancor di più lo è la tenuta di Sarraj: se dall’estero lo mollassero allora crollerebbe, eppure con l’appoggio esterno si indebolisce giorno dopo giorno perché viene percepito come un “prodotto” delle Potenze occidentali. Il successo starà tutto nel difendere la posizione di Sarraj lavorando Haftar e Tobruk sui fianchi per convincerli, quantomeno a dialogare.