A cura di Andrea Rapisarda – La scissione piddina non genera riflessioni solo in chiave di leadership nel centrosinistra e nello stesso Partito Democratico, ma si riflette anche su ipotetiche strategie di voto per le future elezioni nazionali. E’ innegabile come ogni separazione indebolisce le realtà protagoniste e anche questa situazione non fa eccezione, poiché può essere un’ottima autostrada per una vittoria delle attuali opposizioni al Governo.

La sinistra italiana ora è frammentata in quattro blocchi, dando così vita a un’emorragia elettorale che può reputarsi di catastrofiche dimensioni: PD, Sinistra Italiana, Democratici e Progressisti e in ultimo i partiti provenienti da quel polo più radicale… il tutto in una realtà che promette difficili accordi in futuro tra le sigle in questione. Un’area politica che riprende – alla perfezione – una paradossale imitazione di Bertinotti fatta da Guzzanti nel 2010 e dove il famoso comico prevedeva scissioni a sinistra fino alla “sparizione”, creandosi queste anche quando non avevano ragioni d’esistere: per intenderci “invece di sparire dalla scena politica, sparire dal mondo del visibile”.

Una situazione che apre il campo a future vittorie elettorali della destra-centro, come già vediamo con i chiari esempi di Trump o con l’attuale seguito di Marine Le Pen in Francia. Scenari che a sinistra fanno tantissima paura e che volti interni autocritici – come Veltroni ad esempio – prevedono possano prendere in mano il Paese nell’imminente futuro, poiché la propria area ha fallito e lasciato scoperto negli ultimi tempi più di un fianco. Pazienza se c’è il pericolo di vedere – da parte dei sinistri – alleanze inusuali come Salvini-Grillo per la guida del Paese o addirittura la messa in discussione degli stessi principi di democrazia, dovute a un fallimento politico di un polo e le sue guerre di correnti interne. Il centrosinistra non vive solamente una crisi nelle sue fila, ma anche in una situazione dove non riesce più a parlare alle fasce sociali cui storicamente si rivolgeva e trovava simpatie o militanze. Un’area accecata dalle politiche migratorie e a difendere gli interessi dell’Euro, ha perso completamente di vista pilastri come la condizione operaia o dei precari.

Anche la storia dimostra come un centrosinistra spaccato è debole e soprattutto non competitivo, anche con Renzi che trascina da solo il 40% dell’elettorato nazionale (come accaduto al Referendum): sono testimonianza di tutto ciò l’ascesa di Berlusconi nel ’94, il primo e secondo governo Prodi o fallita elezione sempre di quest’ultimo al Quirinale (silurata dal suo stesso partito). All’agire, ha preso piede il personalismo di alcuni volti che creano dissidi o addirittura spaccature (come in questo momento). Qualcuno grida “ci vorrebbe Berlinguer!”, lo storico leader che raccolse all’interno del Partito Comunista Italiano anche volti estranei a quella cultura politica e tanti intellettuali di quell’epoca… tutto il contrario di quello che sta creando Matteo Renzi, artefice di una forza sempre più moderata – vicina ai compromessi politici – e lontana da quei valori culturali della sinistra più pura. Una situazione che ha comportato l’allontanamento di una minoranza, seppur sempre fatta da bandiere storiche del Partito Democratico: per favorire gli accordi, si sta preferendo cancellare una precisa identità politica che doveva rimanere immutata.

Ecco allora che il dado è tratto e il “perché” di un Partito Democratico che vuole allontanare il più possibile la data di un voto, che se fatto in modo anticipato potrebbe rivelarsi un bagno di sangue. Serve riorganizzare le fila di un polo e provare a creare un contenitore politico che possa fare la differenza entro il 2018 (anno in cui scade l’attuale legislatura), specie ora dove non ci sono grandi differenze tra le tre grandi aree politiche del Paese (centrosinistra unito, centrodestra e Movimento 5 Stelle). Tutte le grandi forze – calcolando l’ipotesi di coalizione del cdx e il csx – si attestano sul 30%, rendendo così il Paese ingovernabile con l’attuale legge elettorale. Ecco perché sembra pure irresponsabile la spaccatura piddina, che fa calare il partito ai livelli delle sue dirette competitors elettorali.

Una scissione che agli elettori di centrosinistra ha dato fastidio, poiché veramente pochi hanno compreso le ragioni di tale iniziativa. Dell’azzardata svolta culturale, agli occhi delle persone è emersa solo la voglia di rompere i ponti da parte di Bersani, Speranza e Rossi… oltre a scegliere male il simbolo, anche le intenzioni politiche sono state vendute in modo troppo superficiale o addirittura insufficiente.

Il Congresso dei democratici sarà cruciale per il futuro, poiché non riguarderà solamente la rincorsa di Renzi a una nuova leadership ma anche le sorti politiche del centrosinistra… Si prospettano scenari interessanti e grandi colpi di scena!