Convocato per il 29 marzo il referendum costituzionale sul taglio dei parlamentari. Sarà il caso di rinviarlo per motivi sanitari?

A cura di Giorgio La Porta – Ce lo domandiamo ora che manca più di un mese. È sicuro che 50 milioni di italiani tra un mese si rechino a votare negli stessi locali, facciano campagna elettorale, ritirino certificati in un momento in cui si rischia il contagio da Corona Virus? È possibile che a nessuna autorità sanitaria venga in mente che svolgere una consultazione elettorale in queste condizioni sia potenzialmente una bomba che può far esplodere una vera e propria epidemia?

Mentre i paesi confinanti iniziano a chiudere frontiere e mettere in quarantena chi arriva dall’Italia, noi convochiamo elezioni come se nulla fosse. In parte di Roma domenica prossima si voteranno le elezioni suppletive per il collegio Roma1 e migliaia di persone sono chiamate a votare. Lo Stato è in grado di garantire la sicurezza sanitaria di chi andrà a votare?

È normale che nelle attuali zone rosse e in quelle che si creeranno nei prossimi giorni bisognerà svolgere attività elettorali, comizi, incontri, per non parlare di tutta la gente che andrà in comune a ritirare certificati elettorali e così via.

È possibile che si debba fare campagna elettorale in un momento in cui in alcune zone del Paese siano vietati assembramenti pubblici in teatri e stadi? Volessi fare campagna elettorale e fare un comizio mi verrebbe vietato, ma allora che senso ha svolgere il referendum? E non sarà che per questo motivo, qualche cittadino possa alzare successivamente la mano e far invalidare tutta la consultazione elettorale?

Ultimo piccolo dettaglio, solo prettamente politico, ha senso spendere oltre 300 milioni di euro per celebrare un referendum che non verrebbe votato da nessuno in caso di psicosi da corona virus, ma che produrrebbe comunque effetti giuridici sulla nostra Costituzione? Non sarebbe un gravissimo vulnus per la nostra democrazia, la cui sovranità appartiene (ancora) al popolo?

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