Un milione e mezzo di italiani non ammessi al voto, immissioni di schede e repressioni nel sangue con morti per chi contestava i risultati. Ecco come è nata la nostra Repubblica.

A cura di Michele Gottardi – Sono trascorsi 74 anni dal referendum istituzionale tenutosi il 2-3 giugno 1946 che trasformò radicalmente la forma di Stato del nostro Paese, sette decenni lunghi e ricchi di storia in cui l’Italia è cresciuta e ha guadagnato un notevole peso a livello internazionale, anche se negli ultimi anni, causa la crisi economica, è apparsa debole e inerme. La politica, amata e odiata dai cittadini del Belpaese, ci ha svelato i suoi segreti più nascosti: scandali, processi, trattative con la mafia, brogli. È proprio di quest’ultimi che vogliamo parlare, non in riferimento alle consuete elezioni cui siamo chiamati a partecipare, ma proprio a quel referendum che è stato il seme dell’Italia repubblicana. Le vicende che tratteremo non sono molto conosciute sia perché sono state oscurate al loro nascere sia perché all’epoca era molto rischioso parlarne, ma sono convinto che oggi l’argomento non debba più essere un tabù, ma un aspetto della nostra storia cui siamo tenuti a confrontarci.

Il referendum era stato previsto addirittura due anni prima con il decreto luogotenenziale n. 151 del 25 giugno 1944 che prevedeva, al termine della guerra, l’indizione di una consultazione popolare fra tutta la popolazione per scegliere la forma di Stato della “nuova Italia”. In ossequio a tale provvedimento, il 16 marzo 1946 il principe Umberto decretò che la forma istituzionale sarebbe stata scelta tramite un referendum da indirsi contemporaneamente all’elezione dell’Assemblea costituente. Nelle giornate del 2 e 3 giugno, gli Italiani (comprese le donne) furono chiamati a schierarsi dalla parte della monarchia o della repubblica e la risposta popolare fu molto soddisfacente: si recò ai seggi l’89,1% degli aventi diritto. La prima anomalia tecnica di tale consultazione fu che non poterono esprimere la loro opinione coloro che, a causa della guerra, si trovavano ancora al di fuori del territorio nazionale e i cittadini residenti nella provincia di Trento (tranne pochi paesi) e nei comuni di Gorizia, Trieste, Pola, Fiume e Zara, in quanto oggetto di contesa internazionale, per totale di 1.625.000 elettori. Le autorità dell’epoca fecero sapere che questi Italiani avrebbero votato in seguito, ma la promessa fu vanificata.

Una volta terminate le operazioni di voto, tutte le schede furono trasferite nella Sala della Lupa a Montecitorio dove, in presenza della Corte di Cassazione, degli ufficiali angloamericani e dei giornalisti, iniziò lo spoglio. Il 4 giugno l’Arma dei Carabinieri comunicò a papa Pio XII che la monarchia si avviava a vincere e il giorno successivo Alcide De Gasperi annunciò a re Umberto II che gli Italiani si erano espressi a favore della forma monarchica; a conferma di ciò giunsero a Roma i rapporti dell’Arma provenienti dai seggi che confermarono la vittoria della monarchia. Tuttavia nella notte tra il 5 e il 6 giugno i risultati si capovolsero con l’immissione di una valanga di voti di dubbia provenienza, tanto che analisi statistiche successive evidenziarono come il numero delle schede votate era di gran lunga superiore a quello dei possibili elettori. Si avviò allora un profondo scontro tra i servizi segreti americani (favorevoli alla repubblica) e quelli inglesi (inclini alla monarchia), mentre le truppe del maresciallo Tito si dichiararono pronte a superare il confine nel caso in cui la forma repubblicana non avesse prevalso. Contemporaneamente furono avviati migliaia di ricorsi per chiedere un conteggio più attento delle schede elettorali, ma il 10 giugno la Corte di Cassazione proclamò i risultati: 12.672.767 voti per la repubblica e 10.688.905 in favore della monarchia. Il verbale tuttavia si concludeva precisando che la stessa Cassazione avrebbe reso in altra sede il parere sulle contestazioni e i reclami presentati presso gli uffici delle varie circoscrizioni, nonché circa l’esito definitivo del voto. Di fronte alla notizia che la repubblica aveva prevalso, in molte città del Sud, territorio dove la monarchia aveva raggiunto un risultato bulgaro, scoppiarono proteste e tafferugli: celebre l’episodio avvenuto a Napoli dove un corteo cercò di assaltare la sede del PCI in via Medina per togliere una bandiera tricolore senza lo stemma sabaudo e la polizia aprì il fuoco uccidendo nove manifestanti e ferendone un centinaio.

Re Umberto II, contrariato per i numerosi indizi di brogli e deluso del fatto che non era stato rispettato il decreto luogotenenziale del 1944 nella parte in cui recitava che la forma istituzionale vincitrice avrebbe dovuto aggiudicarsi il voto della “maggioranza degli elettori votanti” (la Cassazione infatti, nel conteggiare il totale dei votanti, non aveva preso in considerazione le schede nulle e c’era quindi la possibilità che nessuna delle due opzioni avesse raggiunto il 50%+1 dei voti) preferì prendere atto del risultato e lasciò l’Italia diretto in Portogallo.

Come già annunciato, l’ultima parola sull’esito della consultazione sarebbe spettata alla Cassazione che, il 18 giugno, con il voto di 12 magistrati contro 7, stabilì che per “maggioranza degli elettori votanti” si dovesse intendere la maggioranza dei soli voti validi. Inoltre, dopo aver respinto tutti i ricorsi, pronunciò l’esito definitivo della votazione: 12.717.923 voti per la repubblica e 10.719.284 per la monarchia. Nei mesi seguenti, in diverse zone d’Italia, vennero ritrovati sacchi contenti schede elettorali votate, ma ormai la partita referendaria era chiusa. Con il pronunciamento della Suprema corte ogni voce dissidente tacque e la forma repubblicana non fu mai più messa in discussione.

Quelle che abbiamo raccontato sono solo alcune delle vicende e delle testimonianze che alcuni protagonisti dell’epoca hanno voluto svelare. Negli anni successivi al referendum sono state raccolte altre dichiarazioni, come quella del gesuita Giuseppe Brunetta che narrò come nelle cantine del Quirinale egli stesso aveva visto casse contenti schede mai aperte, ma il loro peso non può essere che storico, dal momento che politicamente non si può più tornare indietro.

Forse non sapremo mai quale fu l’esito corretto del referendum, ma ciò di cui siamo certi è che quei giorni rappresentarono per il nostro Paese un momento solenne e nello stesso cruciale, in cui la storia era a un bivio: l’Italia si spaccò in due (da una parte il Centro-Nord repubblicano, dall’altra il Centro-Sud monarchico), ma fu unita dall’idea di partecipare in massa per scrivere il proprio destino, desiderio che settant’anni sembra purtroppo essersi spento.

Per approfondire l’argomento vi proponiamo il documentario de La Grande Storia andato in onda venerdi 27 maggio su rai 3 che prende in esame alcuni aspetti trattati nel nostro articolo:  http://www.lagrandestoria.rai.it/dl/portali/site/news/ContentItem-b677c64d-959f-4638-b395-6e74d13037cd.html

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