Missione-Mare-Nostrum-1000x500 (2)a cura di FILIPPO DEL MONTE – Su questo giornale abbiamo già analizzato, a grandi linee, l’intervento di Silvio Berlusconi ad Atreju. Un punto però non era stato toccato: quello sulla posizione dell’Italia nel mondo. Berlusconi ha detto che “contiamo poco sullo scenario internazionale”, e questa è una triste ma veritiera constatazione. Ma visto che in politica con le constatazioni si fa ben poco, è giusto anche chiedersi perché effettivamente contiamo poco. La risposta non può essere che una, cioè che l’Italia ha smarrito la sua “vocazione” mediterranea. Quel ruolo di “porta” d’Europa e di “ponte” con l’Oriente nei momenti felici, ma anche quello di “fortezza” del Vecchio continente di fronte alle minacce esterne.

L’Italia di oggi si preoccupa di sopravvivere in balìa delle onde facendo finta di non capire che ormai i meccanismi di sicurezza collettiva (di fatto l’appalto della nostra difesa agli USA) sono usurati e che Washington non ha alcuna intenzione di impegnarsi di nuovo in quello che a tutti gli effetti è un vespaio. Il “neoatlantismo” democristiano ed il “socialismo tricolore” di Craxi avevano interpretato il bisogno italiano di avere una sfera d’influenza stabile nel Mare Nostrum ed i paradigmi di tali strategie politico-diplomatiche erano la collaborazione con i Paesi arabi e la capacità di convincere gli alleati europei ad affidarsi a Roma per le questioni di Politica estera legate alla regione mediterraneo-levantina.

Si potrebbe dire che la “chiave di volta” della nostra diplomazia mediterranea sia proprio la costruzione di rapporti di collaborazione con quelli che sono gli attori influenti nel mondo arabo, a partire dall’Egitto che con l’Italia condivide non solo il rischio terroristico ma anche quello dell’instabilità della vicina Libia. Di pari passo Roma avrebbe tutto l’interesse a sostenere i governi di Tunisia ed Algeria, due vettori importanti di gas metano verso il nostro Paese (in caso di inasprimento della guerra commerciale con la Russia questi due Stati sarebbero le uniche fonti d’approvvigionamento del gas per gli italiani). Garantire il rafforzamento dei nostri partner nordafricani significherebbe circoscrivere la crisi libica, dunque bloccarne gli effetti disastrosi entro i confini (porosi ma non totalmente fuori controllo) dell’ex “sultanato” di Gheddafi.

Paolo Gentiloni si è mosso in tal senso fin da subito, alla Farnesina hanno capito che l’equilibrio geopolitico in Nord Africa rischiava di sgretolarsi e sono corsi ai ripari riallacciando rapporti mai rotti del tutto ma deteriorati dalle “primavere arabe”. Eppure un’accorta diplomazia in questo caso non basta. Roma continua ad essere esclusa dai vertici delle Potenze europee anche quando l’ordine del giorno riguarda proprio il Mediterraneo; questo dimostra che abbiamo ancora qualcosa da fare prima di poter dire “siamo al sicuro”. La Libia è la nostra prima preoccupazione strategico-militare in questo momento e sarebbe giusto che il governo prendesse una decisione su come risolvere la situazione; questo limbo nel quale Renzi ci ha gettati non fa altro che aggravare la già difficile posizione italiana.

L’incapacità di prendere decisioni (anche dolorose e rischiose se necessario) è sempre stato un problema della Politica estera italiana dal dopoguerra, stavolta però, è giusto ripeterlo, non abbiamo più gli Stati Uniti in prima linea e gli alleati della NATO hanno dimostrato di non essere affatto inclini a soddisfare le richieste italiane. In Libia dovremo muoverci da soli, questo è ormai un dato di fatto. Insomma, riscoprire quella vocazione mediterranea andata persa per convenienza di una “pantofolaia” classe politica (ma lo stesso si potrebbe dire di una parte dell’opinione pubblica) sarebbe un valido strumento per garantire non solo la nostra sicurezza nazionale ma anche per ricostruire quell’area d’influenza che con lo scellerato intervento in Libia del 2011 è crollata sotto le bombe anglo-francesi.