– di Filippo Del Monte – Bossoli sul pavimento, un corpo esanime steso a terra, un ragazzo di bell’aspetto che brandisce una pistola ed urla frasi girando attorno alla vittima a grandi passi. L’uomo a terra è l’ambasciatore russo in Turchia Andrey Karlov, l’attentatore un poliziotto 22enne di Smirne. L’omicidio di Karlov avrà serie conseguenze sullo scenario politico internazionale nelle prossime settimane, non tutte prevedibili. Il consiglio dell’intelligence russa è stato subito convocato d’urgenza al Cremlino su decisione di Putin; Mosca sembra già pronta al contrattacco.

Gli slogan dell’attentatore – “Vendetta e Aleppo!”, “Noi moriamo in Siria, voi morite qui!” – lasciano pensare ad una matrice ben precisa: i ribelli siriani. La tregua stipulata dagli emissari di Assad e dei ribelli ad Aleppo assediata ha infastidito quella minoranza del fronte insurrezionale che non cerca compromessi con il presidente. I corridoi umanitari ed una evacuazione “pacifica” di Aleppo avrebbero segnato una nuova bruciante sconfitta per la ribellione che dal 2013 non riesce a spodestare Bashar al-Assad dal governo di Damasco.

Un filo rosso lega l’assassinio del diplomatico russo agli incendi dei pullman parcheggiati in attesa di caricare civili inermi ad Aleppo nei giorni scorsi. Gli estremisti del fronte ribelle hanno scelto la guerra ad oltranza; non cederanno alle richieste di un Obama indebolito di cercare un compromesso, non a caso anche l’ambasciata statunitense ad Ankara è stata presa a colpi di fucile senza procurare però danni. L’ambasciatore Karlov è stato ucciso alla vigilia dell’incontro trilaterale Russia-Iran-Turchia sulla Siria; appuntamento importante tra protagonisti del conflitto levantino dove la questione Aleppo sarebbe stata all’ordine del giorno. Motivo in più per credere che la pista da seguire sia quella delle frange radicali della ribellione siriana.

Negli ultimi mesi i colpi inferti alla ribellione sul campo dalle truppe di Assad – coadiuvate dai pasdaran iraniani e dagli hezbollah libanesi – sono stati micidiali. L’ultima grande offensiva scatentata dai governativi è stata un successo; il suo “fiore all’occhiello” è stata la liberazione di Palmira, stretta nella morsa dell’Esercito siriano e dell’Aviazione russa. Palmira è stata nuovamente attaccata dalle milizie dello Stato Islamico, ma dei ribelli siriani non c’è nemmeno l’ombra. La battaglia principale, forse l’ultima, della Guerra civile siriana si sta combattendo ad Aleppo. Assurta a simbolo della ribellione, Aleppo è stata la vera roccaforte anti-governativa nel corso del conflitto. Dopo settimane d’assedio, con un impiego massiccio delle forze aeree, le truppe di Assad sono riuscite a penetrare in città conquistando importanti quartieri dopo una battaglia combattuta casa per casa.

Il bombardamento sistematico degli ospedali e la mancanza cronica di cibo hanno causato una gravissima crisi umanitaria ad Aleppo ed i due contendenti, su pressioni delle Nazioni Unite, hanno dovuto stipulare un accordo di “cessate il fuoco” perfezionato poi da una tregua che garantisce – stando ai documenti ma poi resta da vedere quale sia la reale situazione sul campo – l’evacuazione dei civili e di una parte consistente delle forze ribelli. Un accordo questo che non giova ai governativi; non è infatti garantito che i guerriglieri nemici evacuati da Aleppo non riprendano in un secondo momento le armi per continuare a combattere. Questo spiega anche la condotta aggressiva tenuta dai generali di Assad nei giorni scorsi, intenzionati ad avanzare il più possibile nel cuore di Aleppo prima dell’inizio della tregua così da poter eliminare una maggiore quantità di nemici. La tregua è già stata violata più volte da entrambe le parti ma l’evacuazione dei civili è proseguita a ritmo costante fino a che alcuni gruppi di ribelli hanno preso d’assalto qualche giorno fa i pullman adibiti al trasporto dei cittadini.

Questa la situazione in Siria allo stato attuale, e la morte di Karlov potrebbe spingere la Russia a tornare in forze sullo scacchiere siriano dopo una “ritirata” che aveva fin dall’inizio tutto il sapore di una trovata strategica volta a lasciare ad Assad alcuni meriti da conquistare sul campo, compito che il presidente siriano non ha disatteso. Per quanto riguarda la Turchia, l’attentato a Karlov concede ad Erdogan la possibilità di attuare un giro di vite sui meccanismi repressivi interni che il “sultano” ha messo in atto fin dalle prime ore successive al golpe militare del luglio scorso. Un diplomatico russo morto ad Ankara anziché dividere i due Paesi li unisce, il nemico comune dell’Aquila bicipite degli Zar e della Mezzaluna dei Sultani è il terrorismo di matrice islamica. Certo, la Turchia ha avuto responsabilità importanti nel finanziamento, nell’armamento e nell’addestramento delle forze ribelli nella prima fase del conflitto siriano, ma è fuor di dubbio che l’avvicinamento tra Mosca ed Ankara negli ultimi tempi abbia portato Erdogan ad un cambio di rotta in politica estera. Nella crisi siriana la Turchia è l’anello debole del meccanismo politico-militare occidentale; fedeltà non garantita e volontà ben poco velata di condurre una politica autonoma in Siria sono state le caratteristiche del comportamento dei turchi nei confronti della traballante alleanza occidentale “tripartita” Washington-Parigi-Londra.

Quei colpi di pistola sparati a Karlov non giovano alla causa dei ribelli siriani; o meglio, non giovano alla causa della pace in Siria e le diplomazie europee sembrano più attente alle reazioni stizzite di Washington che non propense a cercare una reale soluzione – che passa necessariamente per il compromesso con Assad e dunque per un suo riconoscimento come valido interlocutore – al conflitto che non sia appannaggio esclusivo dei voleri della ribellione. Il perdurare dell’instabilità in Siria causa il rientro di militanti islamici estremizzati e ben addestrati in Europa, principali indiziati per qualunque attentato avvenga nel Vecchio Continente, mercatini di Natale a Berlino compresi. Sia chiaro, l’omicidio di Andrey Karlov e l’attentato di Berlino non sono collegati, ma sono entrambi figli di quel magma in fermento che è la Guerra civile siriana.