apple-di Federica Russo- C’è aria di tempesta in Irlanda e non ci stiamo riferendo solamente al consueto poco temperato clima che caratterizza il paese anche nei mesi estivi. Il vento questa volta si insinua prepotente nei rapporti tra il Governo e la nota società americana operante nel settore dei dispositivi multimediali, dei computer e dei sistemi operativi, la Apple. Un vento gelido questo, un vento a cui oseremo dar un nome ben preciso: Unione Europea. Ma che cosa sta accadendo in questi giorni tra Bruxelles e Dublino?
“La Commissione Europea ha lanciato un’iniziativa che vuole riscrivere la storia di Apple in Europa, ignorare le normative fiscali irlandesi e sovvertire così l’intero meccanismo fiscale internazionale.”
E’ con queste decise parole che Tim Cook, amministratore delegato di quella che è ormai diventata la più nota e forse anche la più produttiva tra le multinazionali nel mondo , si rivolge ai propri clienti in una lettera pubblicata sul sito della società in cui non nasconde il proprio rammarico per la vicenda.
La Commissione Europea ha dunque posto in essere un provvedimento nei riguardi della Apple in base al quale essa è chiamata a risarcire alle cassi irlandesi ben 13 miliardi di euro. Somma non indifferente.
Proviamo però ora a chiarire i 3 punti fondamentali della questione: motivazioni della sentenza, reazioni delle parti coinvolte e, ovviamente last but not least, le conseguenze.
Partiamo dalle ragioni:
la Commissione ha ritenuto che la multinazionale sia stata favorita grazie all’utilizzo di strumenti noti come Tax Ruling, accordi che chiariscono in anticipo quale sarà la parte di reddito imponibile nella relazione Stato-Società.
Si sostiene che, tra il 2003 e il 2014, alla Apple siano stati tassati solamente una piccola parte degli utili ottenuti dalla Apple Sales International e dall’Apple Operations Europe a lei appartenenti. Il resto dei profitti, evidenzia ancora l’Ue, venivano imputati ad una sede priva di luogo fisico o dipendenti, quindi esistente solo su carta. La sentenza richiede quindi un versamento retroattivo delle tasse. Ricordiamo che già nel 2014 questi tools sono stati al centro di diverse polemiche in virtù dello scandalo LuxLeaks il quale, portando alla luce una tassazione dell’1% per oltre 300 multinazionali presenti in Lussemburgo, ha condotto l’Ue, nel 2015, a varare un pacchetto per la trasparenza fiscale così da eliminare margini di discrezionalità in materia fiscale tra i vari paesi membri.
L’Irlanda in particolar modo è sempre stato un paese attraente per i grandi colossi stranieri in cerca di terreno fertile per i propri business. Risulta inevitabile accennare al Duoble Irish che consentiva rilevanti agevolazioni fiscali a quelle multinazionali che decidevano di stabilirsi nello stato della Guiness, dei verdi prati e dei folletti, ma non più utilizzabile dal 1 gennaio 2015.
E le reazioni?
Tim Cook, come anticipato, non ha lasciato attendere un proprio commento. Ha riportato, tra le righe di una lettera colma di amarezza, quanto fatto dalla società che guida in 30 anni di attività in Irlanda. La Apple, che ha sede nella città di Cork, ha negli anni dato lavoro a più di 6000 dipendenti irlandesi consentendo al paese di risollevarsi in seguito alla attanagliante crisi economica. 1,5 milioni invece sono in totale coloro i quali sono collocati nelle sedi della compagnia in tutta Europa.
“Negli anni, ci siamo avvalsi delle indicazioni delle autorità irlandesi per rispettare le normative fiscali del Paese; le stesse indicazioni che qualsiasi azienda attiva in Irlanda ha a disposizione. Come in tutti i Paesi in cui operiamo, in Irlanda rispettiamo la legge e versiamo allo Stato tutte le tasse che dobbiamo” ribadisce Cook.
Il Governo Irlandese, dal canto suo, ha annunciato di voler procedere con un ricorso. Dublino non vuole incassare il denaro al fine di non incrinare i rapporti con quei grandi gruppi che apportano al paese diversi benefici.
Anche da oltreoceano gli Stati Uniti rispondono criticando la scelta della Commissione. Negli ultimi anni, si è detto, sono state troppe le compagnie americane oggetto di indagine in Ue: Starbucks, Amazon e Mc Donald’s per citarne alcune.
Quali potranno essere le conseguenze?
Senza dubbio una normativa fin troppo austera in materia fiscale potrebbe ostacolare la costruzione di solide partnerships commerciali nel vecchio continente. I gruppi potrebbero essere portati a trasferire le proprie filiali e il proprio capitale altrove conducendo, molto probabilmente, alla perdita dei posti di lavoro che oggi garantiscono. Bisognerebbe piuttosto predisporre dei meccanismi il più possibile adeguati alla creazione di un terreno di gioco in cui siano incoraggiati i grandi investimenti stranieri, linfa vitale della ripresa economica dei nostri stati membri. Non è un qualcosa di cui possiamo fare a meno. Non siamo nelle condizioni di potercelo permettere.