turchia-ue-2013– a cura di Giacomo Cangi – I mezzi d’informazione hanno ampiamente raccontato il G20 di Antalya, in Turchia. Questo incontro fra i capi di Stato dei venti paesi più industrializzati del mondo ha avuto un’importanza particolare considerando che poche ore prima dell’inizio dei lavori Parigi era stata attaccata dai jihadisti. Nessuno, però, ha osato mettere in discussione l’opportunità di parlare di lotta al terrorismo in Turchia, nazione guidata dal “Sultano” Recep Tayyip Erdogan.

Il 26 luglio scorso l’edizione on line del Guardian – quotidiano britannico vincitore nel 2014 del premio Pulitzer, non proprio un piccolo blog complottista – pubblicò un articolo in cui riportò il parere di un funzionario occidentale secondo cui i rapporti fra funzionari turchi e l’autoproclamato Stato Islamico erano «innegabili». E non bisogna scordarsi che i guerriglieri curdi, i quali combattono contro i tagliagole dell’Isis rischiando ogni giorno la vita, la scorsa estate accusarono proprio la Turchia di permettere ai miliziani dell’Isis di passare liberamente la frontiera.

Ad inizio novembre si è ampiamente discusso sui giornali ed in televisione delle elezioni parlamentari turche che videro trionfare l’AKP, il Partito per la Giustizia e lo Sviluppo guidato da Erdogan. In pochi, però, discussero di quello che probabilmente fu l’aspetto più interessante di quelle elezioni cioè la reazione dei gruppi armati islamisti. Jaish al-Islam – un gruppo ribelle che recentemente ha fatto parlare di sé per aver usato i prigionieri chiusi in una gabbia come scudi contro i bombardamenti del Presidente siriano Bashar Al-Assad – diffuse un comunicato congiunto con Ahrar al-Sham per congratularsi con Erdogan e ricordarono che «la Turchia ha giocato un ruolo chiave nel sostenere il popolo siriano e la sua rivoluzione». Anche Hamas, nota organizzazione terroristica che lotta per l’eliminazione dello Stato di Israele, diffuse un comunicato in cui affermò che la vittoria di Erdogan arrivava direttamente da Dio. Non solo, Hamas espresse anche la speranza di un contributo turco alla liberazione della Palestina e di Gerusalemme.

Per discutere di contrasto al terrorismo insieme ai più importanti leader del mondo come minimo bisognerebbe non avere rapporti ambigui con chi fa del terrorismo la propria arma. Sembra una considerazione banale, ma evidentemente per i componenti del G20 non lo è.