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LIBIA: IL NEMICO EREDITARIO E LA POLITICA RINUNCIATARIA

Lib-di Filippo Del Monte- La situazione in Libia per l’Italia diventa sempre più rischiosa. Nei giorni scorsi il governo di Tobruk ha comunicato di aver individuato navi da guerra italiane nelle acque territoriali libiche minacciando Roma di ritorsioni. Dal Ministero della Difesa si sono affrettati a smentire la notizia ma questo non è un dato incoraggiante perché indica una propensione pericolosa da parte delle autorità libiche a rifiutare il nuovo accordo di pacificazione proposto da Bernardino Leon. Secondo fonti della Farnesina a Tobruk è ancora molto forte la fazione ostile a qualunque intesa con Tripoli; questa “fronda” ha il suo capo riconosciuto nel generale Khalifa Haftar, comandante in capo dell’Esercito libico e uomo forte (alcuni dicono “burattinaio”) dell’esecutivo.

La tensione con Tobruk va ad aggiungersi ai cattivi rapporti che Roma ha con Tripoli. Più volte la Guardia costiera libica (sotto il controllo delle milizie tripoline) ha aperto il fuoco contro le nostre navi militari impegnate nel pattugliamento delle coste e la scorsa settimana il cimitero degli italiani nella capitale è stato profanato da una folla di esagitati. Già Gheddafi aveva utilizzato gli slogan contro il “nemico ereditario” italiano per cementare attorno al suo regime il consenso delle masse; adesso i governanti di Tripoli stanno rispolverando questo tema. L’atteggiamento ostile verso Roma cambia però nelle “modalità” da Tripoli a Tobruk perché gli obiettivi dei due governi libici sono diversi. Mentre in Tripolitania è necessario controllare la popolazione per evitare scossoni al già fragile sistema governativo, in Cirenaica sono attenti a far vedere agli osservatori internazionali che il loro governo è in grado di difendere la sovranità del Paese, tentando così di accreditarsi come unico interlocutore (il riconoscimento internazionale non basta più evidentemente). Quindi mentre a Tripoli c’è un odio per l’Italia dovuto a motivi ideologici, a Tobruk aleggia un’aria ostile verso il nostro Paese per motivi prettamente politici.

Non per questo Tobruk è meno pericolosa di Tripoli o più affidabile, anzi, viene da pensare che Roma, seguendo i dettami della Comunità internazionale ed appoggiando Bernardino Leon, abbia allevato una “serpe” sulla sua Quarta sponda. Nemmeno l’avvicinamento diplomatico italo-egiziano ha portato ad una situazione più distesa e l’atteggiamento tentennante e rinunciatario del governo Renzi ha spinto le forze “radicali” libiche ad osare di più. Quella che sembrava una docile classe politica nelle mani degli anglo-francesi (veri promotori dell’intervento militare nel 2011) ha drasticamente cambiato la sua “natura” tagliando i ponti con l’Occidente. Ragionando in tal modo si potrebbe anche pensare che l’atteggiamento anti-italiano potrebbe essere solo una “declinazione” di un più generale atteggiamento anti-europeo. Questa tesi ha spinto molti esperti italiani, ma anche francesi, a deplorare la possibilità di intervenire militarmente per ristabilire la legalità in Libia affidandosi alle mediazioni infruttose dell’incolore Bernardino Leon (ora in odore di sostituzione).

La linea politico-diplomatica seguita dall’Italia sulle vicende libiche è una costante della Politica estera post-1945 nei confronti della nostra ex colonia. Nei primi anni di governo del colonnello Gheddafi, anche di fronte all’espulsione degli italiani dal suolo libico ed alla requisizione dei loro beni, Roma preferì adottare un atteggiamento conciliante, quasi rassegnato. Si preferì essere umiliati pur di non mostrare i muscoli; secondo i benpensanti avevamo delle “colpe” in quanto Potenza coloniale che dovevamo pagare. Viene da chiedersi però se questa colpa si debba scontare in eterno o se prima o poi decideremo di tornare protagonisti in un Mediterraneo ridotto ad un cumulo di rovine. Non si può continuare a ragionare sulla Libia con le lenti della diplomazia novecentesca, non esiste più uno Stato dirimpettaio con il quale confrontarsi; ci sono solo milizie in lotta per il potere e due “governi” che si alimentano lucrando sul traffico di esseri umani. Sia Leon che Gentiloni hanno fatto sapere a Tobruk che la proposta di pacificazione ora sul tavolo del governo di Tobruk non è più negoziabile, o si accetta o si rifiuta. E se Tobruk decidesse di rispedire al mittente anche quel foglio oltrepassando la “linea rossa”? L’Occidente, ma soprattutto l’Italia, avrebbero il coraggio di prendere alcune importanti decisioni? Il dibattito è aperto.

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