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NE’ PARISI NE’ BERLUSCONI: A FIRENZE LA DESTRA LANCIA LA SFIDA SOVRANISTA

– di Filippo Del Monte – La piazza di Firenze liquidata da Parisi con un “non siamo quella roba lì” è la dimostrazione di un fatto ormai sotto gli occhi di tutti: la destra in Italia esiste ed ha bisogno di rappresentanza. Una rappresentanza che non passi per le tentazioni neo-centriste e moderate di Silvio Berlusconi e Stefano Parisi. Le ultime dichiarazioni di Berlusconi – non ultimo il suo defilarsi dalla “destra” – sono sintomo del tentativo dell’ex Cavaliere di riposizionarsi al centro dello schieramento politico per l’ultimo disperato tentativo di essere ago della bilancia per Renzi; segnano la più ampia disponibilità alla nascita di un “governo di scopo” e ad un nuovo patto del Nazareno strisciante ma comunque in funzione.

Eppure la piazza di Firenze rappresenta molto di più che non un’accozzaglia di populisti. Giorgia Meloni, Giovanni Toti e Matteo Salvini hanno lanciato il loro guanto di sfida alle proposte veteroliberiste di Parisi – perché tutto si può dire ma non che lo “spirito del ’94” risvegliato da “Mr. Chili” sia innovativo – nel nome del “sovranismo”. All’investitura dall’alto berlusconiana dello sconfitto di Milano la piazza di Firenze oppone le primarie, dunque la partecipazione, dunque l’investitura popolare. Questo “polo sovranista” vuole essere la netta antitesi al centro-sinistra, la linea di difesa contro cui le orde grilline andrebbero ad infrangersi sepolte dalla loro incompetenza e l’alternativa ad un centrodestra “liberalpopolare” annacquato e molto più simile al “montismo” della prima ora che non ad una forza capace di fare progetti a lungo termine. La spocchia di Parisi e le critiche di Berlusconi sono il segnale che si attendeva, significa che sulla sponda destra del Paese si sta seguendo la strada giusta; tra le altre cose anche settori di Forza Italia hanno percepito la necessità di voltare pagina e di chiudere una volta per tutte con il passato.

Va però anche detto che la piazza di Firenze ha una grande prova da affrontare prima del test elettorale; una prova che, qualora non venisse superata, affonderebbe la nave sovranista prima del varo: lo sviluppo di una proposta culturale di cambiamento reale. Lanciare parole d’ordine come “oltre la destra e la sinistra” impongono una riflessione che vada oltre lo slogan per la massa. Il rischio percepibile è che ci si appiattisca sul modello del Front National francese con una società diversa e senza avere alle spalle quei gruppi intellettuali d’avanguardia che hanno costruito l’impianto metapolitico del partito prima che Marine Le Pen e Florian Philippot ne rinnovassero la struttura. Il “terzaforzismo” può essere una strada da percorrere ed il FN un modello a cui ispirarsi, ma non da scimmiottare pedissequamente; il sovranismo italiano dispone di teorici e progetti politici nazionali a cui ispirarsi senza dover importare nulla. Allo stesso modo sarebbe inopportuno far coincidere la nascita del “polo sovranista” italiano con un’onda lunga del successo di Trump negli USA che è tutta da dimostrare.

Se tutta una proposta politica è da costruire, è anche vero che a Firenze sono stati captati e ben interpretati dei segnali provenienti dall’opinione pubblica mondiale: il voto di protesta che in Italia è stato intercettato dal Movimento 5 Stelle, in altri Paesi è stato appannaggio di formazioni sicuramente con un retroterra culturale proprio della destra, ma che hanno saputo dare al loro messaggio il sapore del sovranismo terzaforzista declinandolo rigorosamente secondo schemi “nazionali”. Questo non significa che il “polo sovranista” sarà costretto ad aggirarsi tra le infide e volubili – nonché confuse – schiere grilline per cercare consensi; quella di Firenze potrebbe essere la rilettura (allo stato embrionale ed ancora molto emozionale sia chiaro) dello “sfondamento a sinistra”. Andare quindi a pescare voti dove la sinistra “dei diritti” è ormai incapace di arrivare e dove il M5S non ha ancora messo piede potrebbe essere un tentativo da fare; dopotutto l’astensionismo è un fenomeno interessante e le sue alte percentuali dimostrano che non tutti sono stati contagiati dal morbo grillino, anzi è molto probabile che esista un elettorato certamente deluso di tendenze vagamente nazional-sovraniste e proveniente dagli strati popolari della popolazione che potrebbe essere conquistato. Il trio Meloni-Toti-Salvini ha infatti una vocazione di lotta marcata, non punta ad inghirlandarsi per la stanza dei bottoni come invece piace fare all’ambiente nato attorno a Parisi. I “frontman” ci sono, la vera sfida sta ora, come già detto, nel costruire quel retroterra metapolitico e culturale funzionale allo sviluppo di proposte credibili ed allo stesso tempo dirompenti.

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