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INTERVISTA A LUIGI MASCHERONI (IL GIORNALE)

A cura di Riccardo Boccolucci – Qualche giorno fa ho avuto il piacere di intervistare Luigi Mascheroni – caposervizio della redazione Cultura e Spettacoli de Il Giornale – per conoscere il suo punto vista riguardo la situazione della cultura in Italia e per sapere di più sul suo impegno nella piccola editoria.

Di seguito l’intervista, buona lettura!

La bellezza e la grandezza del nostro patrimonio artistico e culturale è invidiata da tutto il mondo. Partendo proprio da questo presupposto, vorrei chiederle se secondo lei in Italia tale patrimonio, tenendo anche conto della sua vastità, viene valorizzato in maniera adeguata e quali provvedimenti andrebbero presi per migliorare la situazione?

I punti, per quanto riguarda la “gestione” – diciamo così – del nostro patrimonio artistico, sono due. La tutela e la valorizzazione. Per quanto riguarda la tutela, credo che l’Italia sia a un livello se non d’eccellenza, comunque molto alto: lo Stato, dai comuni alle Regioni, ha sempre fatto e continua a fare molto per tutelare i tesori artistici del Paese. Pensiamo ai restauri e alla conservazione delle opere d’arte: poche nazioni hanno laboratori, professionalità ed esperienza come l’Italia. Certo, la ricchezza stessa, così eccezionale, diventa una difficoltà: abbiamo un patrimonio così esteso e vario che le risorse economiche non sono sufficienti. Tutelare la cultura italiana, dai siti archeologici come Pompei agli affreschi delle migliaia di chiesette sparse fra la Sicilia e le valli alpine, è uno sforzo titanico. Ma ogni giorno si lavora per un restauro, una messa in sicurezza, un recupero architettonico… Esempi? Ci sono appena stato: la ripulitura di alcune meravigliose cappelle cinquecentesche del Sacro Monte di Varallo di Gaudenzio Ferrari, ad esempio; oppure per altro verso, la riapertura dell’Archivio storico della Ca’ Granda, a Milano, un vero gioiello. Sono operazioni straordinarie. E molto fanno anche i privati, che lavorano benissimo: pensiamo alle tante fondazioni per l’arte contemporanea. Faccio un esempio recentissimo: la Fondazione Prada a Milano che – completando un magnifico intervento di trasformazione dell’ex architettura industriale che la ospita, una distilleria risalente agli anni Dieci del Novecento convertita in uno degli spazi espositivi più interessanti d’Europa – ha appena inaugurato la torre di Koolhaas con nove piani dedicati all’arte contemporanea… Per trovare qualcosa del genere devi andare a New York, per dire…

Questo per la tutela. E per la valorizzazione?

Ecco, qui è indubbio che si può fare ancora molto. In Italia ci sono ancora troppi vincoli, e una mentalità che vede con sospetto l’aiuto dei privati nella gestione (ripeto: gestione, non acquisizione ovviamente) dei beni pubblici. Tutti vorremmo che lo Stato avesse i fondi per tutelare e valorizzare i siti archeologici, le chiese, i palazzi, i musei e i monumenti d’Italia… Ma se i soldi non ci sono, non dobbiamo disprezzare i privati, se vogliono dare una mano. Certo: poi si può discutere sulle modalità della gestione. Ma se Tod’s, o una grande azienda privata, vuole restaurare il Colosseo, non devo scandalizzarmi se poi mi chiede di mettere il suo logo sui biglietti… E se un’azienda di moda mi chiede di affittare una sala della reggia di Caserta, se la cosa non offende il buon gusto e non danneggia gli ambienti, devo solo essere contento: con quei soldi posso finanziare un restauro, o fare una maggiore promozione della Reggia…. Così come secondo me non si deve avere paura di una gestione manageriale dei nostri grandi musei. Il lavoro alla Pinacoteca di Brera del direttore James Bradburne per me è un modello da applicare ad altri musei, per stile, efficienza e risultati.

Lei, da quello che si evince tramite i suoi articoli e i suoi canali social, è un assiduo frequentatore di esposizioni di ogni genere: cosa si potrebbe fare per portare più giovani, ma non solo, a decidere di passare il proprio pomeriggio in un museo/mostra? Non pensa che, ad esempio, troppe volte i costi siano esageratamente elevati?

Sì, è vero. E’ un esempio che faccio sempre. Prendiamo una mostra medio/grande in una prestigiosa sede espositiva. Mediamente costa 10-12 euro il biglietto intero; e 8-10 il ridotto. Io entro gratis perché sono un giornalista. Ma una famiglia di quattro persone? Se una domenica vuole andare a vedere, faccio un esempio, la mostra di Frida Kahlo a Milano, che sta avendo grande successo, sa quanto spende? Pur tenuto conto dell’offerta speciale per famiglie? 36 euro. Non è poco. Per i musei le cose vanno un po’ meglio. Uno studente per visitare la Galleria nazionale d’arte moderna e contemporanea a Roma, che con il nuovo allestimento per me è meravigliosa, spende cinque euro, e va benissimo. In altri musei, spende 10 euro… La domanda è: quante volte, in un mese, uno studente o una famiglia può permettersi un piacere del genere? Una volta, due è già tanto. E’ come per i libri. Se voglio leggere un libro bello, un Adelphi, o un Einaudi, per dire, è difficile che paghi meno di 15-20 euro. In un mese, quanti libri posso concedermi? E’ vero, ci sono le biblioteche. Ma resta il fatto che il gap culturale fra una fascia e l’altra della popolazione è soprattutto di ordine economico, passa cioè dalla spesa per i “consumi” culturali. Come si può rimediare? Rispetto ai prodotti e ai beni culturali, la famiglia deve trasmettere ai figli l’abitudine a “frequentarli”. La scuola dare un metodo su come “fruirli”. La politica facilitarne l’accesso.

Lei è un grande appassionato di libri, un collezionista. Questa passione l’ha portata da poco a intraprendere la strada dell’editoria, insieme a due amici ha deciso di aprire la piccola casa editrice De Piante Editore. Vuole parlarcene?

In un mercato editoriale come il nostro, di dimensioni (gigantesche) inversamente proporzionali alle abitudini di lettura degli italiani (minuscole), l’idea di fondare una nuova casa editrice sembra un atto intellettualmente supponente e commercialmente azzardato. Due ottimi motivi, peraltro, per lanciarsi nel progetto… Voglio dire che se dovessi pensare solo alle prospettive economiche, oppure al ritorno di immagine che posso averne, lascerei subito perdere. Io ho pensato, semplicemente, di fare i libri che comprerei come lettore, ma che non trovo in libreria. Vede: a me, come giornalista, arrivano decine e decine di libri ogni giorno, di ogni casa editrice. Ma a parte doverose eccezioni (Adelphi, qualcosa di Einaudi, alcuni titoli di editori medi, come Sur, o piccoli come Henry Beyle), nella maggior parte dei casi non mi piacciono: nel senso che magari mi interessa il testo, ma la veste editoriale è brutta o pessima; oppure è bella la grafica e la copertina e l’impaginazione, ma insignificante il testo. Così mi sono fatto io i libri che mi interessano: bellissimi dal punto di vista editoriale (carte preziose, sovracopertina d’artista, impaginazione impeccabile, cucitura a mano, tiratura limitata) e bellissimi per il contenuto: solo testi (tutti di pochissime pagine) inediti o rarissimi di grandi autori del ‘900 italiano. Come dice lo slogan della De Piante editore, facciamo “Pochi libri per pochi”. Vogliamo essere una cassa editrice d’eccellenza senza essere élitaria, ambiziosa senza essere arrogante, elegante senza essere vistosa. Finora abbiamo pubblicato lettere inedite di Montale, un racconto perduto di Piero Chiara, un pamphlet di Emilio Villa, un lungo articolo contro il ’68 di Sebastiano Vassalli uscito su una rivista underground nel 1969… Cose così. Inutili. Ma assolutamente indispensabili.

A conclusione vorrei porle una domanda più politica. Nell’ultima campagna elettorale che ha portato al voto del 4 marzo abbiamo avvertito la pesante assenza di un discorso riguardante la cultura. Si può dire che, troppe volte, i politici sembrano avere paura di parlarne. Lei cosa ne pensa?

Penso le cose che pensano tutti. Ma che nessuno risolve. L’istruzione, la scuola, l’università, gli indici di lettura e i consumi culturali… l’intero comparto in Italia è in forte crisi. Guardi cosa succede ai professori nelle aule italiane. Guardi non solo a quanto poco legge l’italiano medio, ma anche quanto male: biografie di sportivi e conduttori tv, libri di chef, romanzi di politici… Guardi quanto poco sono letti i giornali, o quali sono i film che fanno cassetta… Sembra un Paese di cavernicoli. Ma è davvero tutta colpa della politica? Io penso che se la scuola – medie, licei, università, scuole di specializzazione – ha abbassato i livelli qualitativi non è colpa di politici ignoranti e impreparati. E’ vero il contrario: abbiamo politici ignoranti e impreparati, con ministri dell’Istruzione non laureati e il partito più votato, i 5 Stelle, che è il più imbarazzante della storia Repubblicana, perché abbiamo alle spalle decenni di gestione folle della scuola italiana. Dove il merito, l’eccellenza, le difficoltà, la selezione, tutto è stato azzerato, abbassato, addolcito, semplificato. E’ la coda lunga dell’ideologia prodotta dal ‘68, che adagio adagio ma inesorabilmente ha spazzato via la qualità della nostra formazione scolastica, e minato alle basi la cultura della società. Invece che alzare l’asticella, l’abbiamo tolta del tutto. Io, che pure non ho studiato negli anni ’50, ma ho fatto l’università alla fine degli anni Ottanta, quando preparavo l’esame di Letteratura italiana avevo un programma che prevedeva qualcosa come 20 o 21 testi, tra corso monografico e istituzionale. Oggi – a parte l’assurdità delle lauree triennali, il discount della cultura… – se in un esame da 6 crediti il professore assegna più di 200 pagine in tutto da studiare, è fuori legge… Ma dove vuole andare un Paese così?

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