candidati roma

– A cura di Fabiola Florio – L’altra notte è stata come il 9 luglio 2006. Soltanto che alla fine Fabio Grosso quel rigore lo ha sbagliato per davvero.

A Roma è stato un duello serrato come Italia-Francia alla finale del campionato del mondo, ma nessuno poteva prevedere che Giorgia Meloni perdesse senza però essere sconfitta.

Un paradosso inequivocabile che ci insegna come si fa a conquistare la leadership del centrodestra in 44 giorni di campagna elettorale, incinta e con gli alleati che ti mollano in alto mare per favorire un cavallo di razza.

Ed all’ultimo scontro ci si arriva con il 20,64% con Fratelli D’Italia al 12% contro il parente/serpente Forza Italia che fatica a conquistare il 4% in una scelta suicida di sostenere la candidatura di Alfio Marchini, il cui risultato è (prevedibilmente) poco sopra il 10%.

Dati alla mano, la non vittoria della Meloni invita tutti gli elettori del centrodestra a passare una mano sulla propria coscienza e prendere atto che è in corso una crisi dalle proporzioni disastrose, tutto a vantaggio del Movimento 5 stelle che si conferma il primo partito della Capitale con oltre 450mila consensi.

Scendendo nel cuore più profondo della strategia politica, occorre dare alcune nozioni di base a chi ci segue, per meglio comprendere quello che è successo a Roma e poi esportare il modello a tutto il Paese.

Esiste, c’è ed è reale una sorta di “partito fantasma” che in gergo definiamo bandwagon e che è descritto dai sociologi come un fenomeno in cui una porzione di elettorato, preferisce votare il candidato che percepisce come vincente. Ovviamente questa percezione distorta è frutto di oculate strategie social e di sondaggi che con cadenza periodica vengono messi in atto per accattivare gli eterni indecisi.

Questo effetto “carrozzone” è quello che spinge il m5s a risultati sempre più ampi, proprio come nel caso di Roma. Quasi mezzo milione di preferenze, vincenti in 13 municipi su 15 ed un ballottaggio che sembra già vinto in partenza.

Ma come si fa concretamente ad essere vincenti prima ancora di vincere? E cosa sarebbe accaduto se a giocare sull’effetto bandwagon fosse stato il centrodestra?

Abbiamo misurato la percentuale di questo partito fantasma ed abbiamo stabilito che a Roma è presente in maniera piuttosto consistente, quasi il 9% con un margine di errore di +/- 1

Nello specifico ciò che ha spinto gli indecisi a votare la Raggi è senz’altro questa percezione di vittoria assicurata, a cui vanno aggiunti due elementi importanti.

  1. Il programma elettorale

Chi di noi sa dire anche una sola proposta di Virginia Raggi? TUTTI.

Sui social siamo stati bombardati da articoli e parodie di alcune “stravaganze” della grillina come la funivia, gli autobus colorati ed il chiacchieratissimo ritorno al baratto. Proposte come queste, condivisibili o meno, vengono poste al pubblico con una forte carica di ironia ed ilarità, suscitando in poco tempo una diffusione a macchia d’olio della notizia. Tutti conoscono almeno una delle proposte assurde del M5s, cosa che non potremmo dire di altri candidati; questo ha permesso ai grillini di attrarre a sé anche coloro i quali non apprezzano i contenuti di nessuno schieramento, così da favorire l’unico candidato di cui conoscono almeno una proposta: Virginia Raggi.

  1. Soli contro tutti

Che il movimento 5 stelle sia l’unico partito d’Italia ad associare ad un solo candidato sia lo schieramento che un solo partito non è un elemento da trascurare. La frammentazione del centrodestra ha suscitato uno sdegno generale (vedi risultati FI) tutto a danno della candidatura di Giorgia Meloni, che si è vista addossare l’etichetta di “sola contro tutti”.

Essere soli contro tutti però ,nel corso della campagna elettorale, si è trasformato da etichetta a vera e propria strategia, la quale però è da sempre ciò che spinge gli italiani a votare cinque stelle, che in questo caso hanno beneficiato profumatamente in termini di credibilità. “Siamo noi quelli soli contro tutti” ha ribadito infatti Alessandro Di Battista nella diretta di ieri sera su Rai1. L’essere estranei alle lotte ed agli schieramenti di coalizione ( perché non ne si ha una) ancora una volta si è rivelato vincente.

Ecco quindi come Virginia Raggi ha aggiunto al suo bagaglio di voti il bandwagon, senza il quale si sarebbe forse fermata al 26%.

Giocare d’astuzia, ecco quello che è mancato in questa campagna elettorale.

Per disintegrare il bandwagon 5stelle occorreva semplicemente convergere unicamente su un’unica figura? A questo punto si.

Se Berlusconi,Alfano, Fini, Storace e tanti altri esponenti della destra nostrana, avessero ritenuto opportuno convergere su Giorgia Meloni, la coalizione non solo ci avrebbe guadagnato in termini puramente quantitativi ( la percentuale di vittoria della Meloni sarebbe stata del 26,15% pari quindi al m5s) ma questo bandwagon di cui abbiamo tanto parlato, chi se lo sarebbe aggiudicato? Il centrodestra!

In primis perchè si sarebbe annullato il meccanismo del “soli contro tutti” facendo posto ad un “uniti contro tutti” che avrebbe giovato in termini quindi qualitativi alla coalizione, ed in secondo luogo, perché Giorgia Meloni avrebbe acquistato la leadership politica che tanto mancava a questa destra e che avrebbe funzionato come vetrina politica così in vista tanto da annichilire anche l’esilarante programma di Virginia Raggi.

Avremmo quindi raggiunto un risultato di 36% senza neanche menzionare l’antagonista Giacchetti che senza dubbio sarebbe stato sbaragliato dalla nuova coalizione di destra.

Troppo facile ragionare col senno di poi, soprattutto adesso che i giochi sono chiusi. E se fossimo stati più lungimiranti, se Berlusconi avesse fatto un passo indietro, se fossimo stati tutti uniti, se Meloni non fosse rimasta incinta, se Salvini parlasse meno degli immigrati, se le buche di Roma non fossero così tante …

e se avessimo semplicemente TUTTI sbagliato?