de gaulle– di Alessio Marsili – Figura di preminenza della politica internazionale contemporanea, Charles de Gaulle fu un leader che, indubbiamente, fece proprio e segnò in maniera profonda il destino della Francia -qualunque sia il giudizio storico che se ne voglia dare- dal 1940, anno dell’inizio della Resistenza al nazismo, al 1970, data della sua morte. Intorno al Generale, aleggia tutt’oggi, un’aura di mitico misticismo che contribuisce alla costante diffusione del suo carisma; personaggio poliedrico, eclettico, lungimirante, talvolta “autoritariamente democratico” nell’esercizio delle sue funzioni, dall’elevata caratura intellettuale e morale. Impossibile non essere affascinati dall’esperienza e dal peso storico di de Gaulle. 126 anni fa, il 22 novembre 1890, nasceva a Lille il più grande statista della storia repubblicana francese: Charles de Gaulle.

Nazionalista, eroe provvidenziale, carismatico salvatore della Patria. Estremamente testardo, forgiato dalla partecipazione e dalla prigionia vissuta durante la Prima Guerra Mondiale, de Gaulle -dopo una brillante carriera da sottotenente e poi capitano- entra nell’ultimo gabinetto della Francia indipendente, presieduto da Paul Reynaud, in qualità di Sottosegretario alla Guerra. Eppure fino al 18 giugno 1940, data dello storico appello pronunziato ai microfoni della londinese BBC che costituirà la fonte primaria del suo irresistibile carisma, il generale di brigata pro tempore era sconosciuto ai più. Disprezzato da Roosevelt, stimato da Churchill, Charles de Gaulle attraverso intransigenza, fermezza, dedizione riesce ad affermarsi quale figura politica preminente della Francia legittima. Decisionista infastidito dai partiti politici e dai riti della democrazia parlamentare, de Gaulle si dimette da capo del governo provvisorio nel 1946; nel frattempo la Francia -umiliata ed occupata dai nazisti nel ’40-, grazie all’azione del Général, sedeva al tavolo dei vincitori, disponeva dell’amministrazione di una parte dell’ex Reich, godeva del seggio permanente al consiglio di sicurezza delle neonate Nazioni Unite. Nell’arco del temporaneo allontanamento dalla vita pubblica e mediatica, durante il quale furono ultimate le memorie di guerra, comunemente noto come “Traversée du desert”, Charles de Gaulle non mancò mai di far sentire la sua voce di ‘Padre padrone’ legittimato dalla storia sulla dinamica politico-parlamentare francese, pur senza averne alcuna influenza diretta. Saranno l’endemica debolezza del parlamentarismo e l’irreversibile crisi politica che la IV Repubblica visse dalla sua nascita e per tutta la durata degli anni ’50 del XX secolo, congiuntamente alla Guerra d’Algeria (colonia francese dal 1830, costituzionalmente territorio metropolitano transalpino) -passando per le debacle militari dell’Indocina e Suez- a riportare al centro della scena politica il Generale nel 1958, a 67 anni. Rimase in carica fino al 1969.

Determinista, assai pragmatico, realista classico, de Gaulle aveva una visione antropologicamente pessimistica della natura umana -incapace di sottrarsi alla grande legge della società costituita dalla guerra- e della storia: una storia intrisa di terrore, violenza e tragicità. Ne conseguiva che il fondamento delle relazioni internazionali era costituito dalla perenne ed incessante lotta per il conseguimento degli interessi nazionali e lo Stato rappresentava l’attore politico di maggior rilevanza; ma alla Nazione immortale, depotenziante il ruolo delle ideologie che costituivano lo stendardo dietro il quale celare l’ambizione nazionale -de Gaulle non esitò ad utilizzare, nella fase di maggior tensione della Guerra Fredda, espressioni forti come “Russia Eterna” e “Cina di sempre” che sminuivano il comunismo-, veniva riservato il ruolo di personaggio principale della Storia: “Il n’y a pas de réalité internationale qui ne soit pas d’abord une réalité Nationale”, ripeté costantemente. Il Generale si batté incessantemente per restaurare il ruolo di primo rango della Francia -la Grandeur- e l’indipendenza nazionale costituì la pietra miliare della politica di de Gaulle; ‘indépendance’ intesa come traduzione politica della nozione giuridica della sovranità, condicio sine qua non per esistere sulla scena diplomatica -“La France ne peut etre pas la France sans la grandeur” sarà uno dei suoi motti. Indipendenza che cozzava contro il desidero di egemonia delle grandi potenze sul “Vecchio Continente”, contro la logica dei blocchi contro la quale spese molte energie; lanciò nel corso degli anni ’60 una politica di revisionismo globale anti americana che lo porterà in pochi anni a sconsigliare J.F.Kennedy (nel corso della sua visita a Parigi nel 1961) di impegnarsi militarmente in Vietnam -quando ancora sul luogo erano presenti pochi consiglieri bellici-, a riconoscere diplomaticamente nel 1964 la Cina Popolare -anticipando di circa un decennio le azioni del futuro presidente Richard Nixon-, e soprattutto ad uscire dal comando integrato della NATO nel 1966 -costringendo l’intero apparato dell’alleanza ed i migliaia di soldati americani ivi stanziati a traslocare nelle squallide periferie belghe. La politica estera del Generale su lo strumento attraverso il quale conseguire una radicale trasformazione dello status quo e, conseguentemente, superare il rigido ordine bipolare caratteristico dell’antagonismo fra le due superpotenze e della contrapposizione tra ideologie antinomiche che tenevano sotto scacco l’Europa; Europa terzoforzista rispetto ai due blocchi, dall’Atlantico agli Urali, emancipata, confederale, composta da Stati e patrie Nazionali, che avrebbe dovuto esser guidata da Parigi.

Un uomo visionario, dalla perenne attualità, cui occorre rifarsi in un periodo di crisi della globalizzazione che rendono imprevedibili le conseguenze. La Francia, fra Parigi, Lione, Marsiglia, Strasburgo, Lilla, ha la più grande popolazione musulmana d’Europa. Già all’epoca del Generale, massiccia era l’immigrazione dai territori dell’Africa del Nord verso la metropoli: Il generale, uomo di destra, ostinatamente anticomunista, pronunciava profetico -seppur inascoltato- nel lontano 1959 parole avverse al multiculturalismo. “E’ un bene che ci siano francesi gialli, francesi neri e francesi marrone. È la dimostrazione che la Francia è aperta a tutte le razze e che ha una vocazione universale” sosteneva de Gaulle, il quale aggiungeva tuttavia che “Essi devono rimanere una piccola minoranza. Altrimenti la Francia non sarà più la Francia”. Sì, perché secondo il Generale “Noi (riferendosi ai francesi) siamo comunque prima di tutto un popolo europeo di razza bianca, di cultura greca e latina e di religione cristiana. Chi crede all’integrazione ha il cervello di un colibrì!”. Parole provocatorie, caratteristica imprescindibile dei discorsi pubblici del Generale. Impossibile per i politici del giorno d’oggi pensare di pronunziare discorsi analoghi a questi, senza esser mediaticamente decapitati -o senza esser accusati di fascismo. Una politica ‘individualizzata’ o personalizzata che dir si voglia, non perché guidata da interessi personali, ma perché egli investiva molto -a livello personale- nel successo delle sue decisioni, identificandosi nelle scelte adottate ed ignorando l’ostilità ad esse di staff, opposizione ed opinione pubblica francese. Charles de Gaulle, d’altronde, incarnava una ‘certa idea’ del suo paese in virtù della sua autorità storico-culturale e la sua “persona” spesso divenne un simbolo di un modello di Francia. Un paragone che non può essere fatto per individui intellettualmente disonesti e politicamente nulli del giorno d’oggi.

Le sfaccettature sono tante ed il discorso sarebbe interminabile. Analizzare Charles de Gaulle non è mai stato semplice, un uomo di altro spessore, un pezzo di storia. L’Italia non ha mai avuto un de Gaulle, e ne paghiamo perennemente le conseguenze; personaggio inevitabilmente discusso e sul quale si dibatte ancor oggi, il Général de Gaulle è costantemente rimpianto ovunque in Europa, e non solo oltralpe.