tmp_17153-IMG_20160707_145920963468563– a cura di Filippo Del Monte – Nell’ultimo incontro bilaterale italo-russo di San Pietroburgo è andato in scena un tentativo di riavvicinamento tra Roma e Mosca. Matteo Renzi ha chiaramente teso la mano a Putin sugli spinosi temi delle sanzioni e del conflitto siriano ottenendo dai russi la firma di contratti per circa 1 miliardo di euro (ben poca cosa visti i 4-5 miliardi di danni subiti dall’Italia a causa delle scellerate sanzioni europee). Per comprendere le reali ragioni che hanno spinto gli italiani a fare determinate concessioni a Mosca bisogna scavare ben più a fondo, andare cioè oltre le parole di circostanza del rigido cerimoniale diplomatico.

Innanzitutto va detto che – nonostante la crisi ucraina e la “guerra delle sanzioni” – i rapporti bilaterali tra Italia e Russia non sono mai stati interrotti, garantendo al governo italiano un ristretto ma importante margine di manovra che alle altre Potenze europee (ad eccezione della Germania) è stato precluso. Abbiamo già quantificato i danni subiti dai produttori italiani a causa delle sanzioni dell’UE e delle controsanzioni russe, ma è pacifico che anche la Russia abbia risentito pesantemente del blocco dei commerci. Una ripresa dei rapporti commerciali non può che far bene ad entrambe le economie. Bene ha fatto Roma ad offrire ai russi la fornitura di materiali e mezzi per le principali produzioni agricole consentendo così a Mosca di contrastare i danni subiti dal settore agro-alimentare. Una proposta del genere è la prova di quanto in Italia siano considerate dannose le sanzioni targate UE (il cui principale sponsor fu la fuoriuscita Gran Bretagna). In ambienti politico-diplomatici italiani si punta ad una abolizione totale delle sanzioni nel più breve tempo possibile e dunque a perseguire quei rapporti amichevoli con Mosca di cui a Pratica di Mare nel 2004 si gettarono le basi.

Dalla Farnesina era stato previsto fin da subito che le sanzioni non avrebbero spinto il Cremlino al dialogo ma avrebbero solo inasprito i rapporti, già non idilliaci, con Bruxelles. Putin non poteva permettersi allora e non può permettersi adesso di sottostare ad eventuali diktat europei sull’Ucraina senza perdere la faccia. Da qualche tempo è evidente come il Cremlino stia puntando le sue carte sui mirabolanti successi legati alla Politica estera di potenza. Il “sabotaggio” messo in piedi da Francia, Germania e Turchia per far naufragare il progetto del gasdotto South Stream (che Putin si è detto pronto a costruire comunque subito dopo il vertice di San Pietroburgo) ha causato problemi non solo a Mosca ma anche a Roma; quel gasdotto avrebbe infatti consentito al nostro Paese di diventare effettivamente l’hub energetico del Vecchio Continente. Il fallimento del progetto South Stream ha spinto i due Stati a venirsi incontro sotto numerosi aspetti ed a valutare – seppur da prospettive diverse – l’iniquità della strategia sanzionista targata UE.

Riallacciando i rapporti commerciali con la Russia per l’Italia si paventerebbe la possibilità di essere la “punta di lancia” dello schieramento filo-russo – o comunque favorevole a trovare un modus vivendi con lo “zar” Putin – in seno all’Unione Europea in sostituzione della Gran Bretagna, da sempre ostile ai progetti russi di costruzione di una grande area politico-militare-economica sulle rovine dell’impero sovietico. Più difficile è insidiare il ruolo di Berlino perché la Germania, nonostante le sanzioni, resta il primo partner commerciale europeo della Russia e questo rapporto è fondamentale per la diplomazia di Lavrov.  Non a caso la Germania, pur schieratasi apertamente con il “fronte sanzionista”, non è mai stata politicamente colpita dal governo di Mosca, al contrario di Francia e Gran Bretagna. Va detto che questa “guerra fredda” è sicuramente una situazione non ordinaria e che nel prossimo futuro è più che probabile un ritorno allo status quo ante-2014. A quel punto a trarre tutti i vantaggi sarebbero solo quei Paesi europei che hanno costantemente tenuto aperto il dialogo con il Cremlino, Italia in testa.

A San Pietroburgo Matteo Renzi ha fatto anche un’apertura alla presenza russa nel Mediterraneo. E’ stato un passaggio rapido della conferenza stampa, che sarà sfuggito ai più, ma che non è passato inosservato tra gli addetti ai lavori. Quello di penetrare nel Mediterraneo è un antico desiderio della diplomazia russa fin dai tempi di Pietro il Grande in quanto per la sua posizione geografica ad essa serve necessariamente una presenza stabile nei “mari caldi”. La rinnovata centralità del Mediterraneo nello scacchiere internazionale è dovuta infatti non solo alle guerre in Libia e Siria, ma anche ai tentativi di penetrazione attuati da Mosca. Al prossimo vertice NATO uno dei punti all’ordine del giorno sarà la costituzione di una flottiglia con il compito di pattugliare il Mar Nero in chiara funzione anti-russa. L’Italia è a favore del rispetto integrale della Convenzione di Montreux (1936) che regola il regime degli Stretti ponendo serie limitazioni alla presenza nelle acque del Mar Nero di naviglio militare non appartenente a Stati rivieraschi. E’ possibile che tale condotta diplomatica, confermata anche dal generale Carlo Jean su “Geopolitica.info”, altro non sia che un “messaggio subliminale” lanciato al Cremlino. Rispettare integralmente la Convenzione di Montreux da parte dell’Italia non sarebbe tanto un favore alla Russia – visto l’enorme potere che la convenzione dà alla Turchia – quanto un segnale per gli alleati europei: lasciare i russi liberi di entrare nel Mediterraneo orientale equivarrebbe a mettere in dubbio equilibri ormai consolidati battendo imprevedibili ma sicuramente proficui sentieri per il nostro Paese.

Il canale italo-russo è sempre stato uno strumento per sovvertire lo status quo; tendere la mano alla “Terza Roma” permetterebbe agli italiani di uscire dall’impasse cui gli errori politici franco-britannici li hanno condannati nel Mare Nostrum. Per ora il colpaccio sembra riuscito sotto l’attenta regia di un gruppo di feluche che sembra non aver perso l’antico smalto machiavellico della nostra diplomazia. Gli esponenti della “carriera” sono rimasti “filo-russi” e portano avanti quello che fu il grande progetto nato con il centrodestra al governo: dar vita ad un canale preferenziale di dialogo con la Russia per influire sulle decisioni della politica estera europea e controbilanciare da est il duopolio franco-tedesco.