tmp_27994-IMG_20160708_0903111216292831– di Alessio Marsili – Oltre 2200 rappresentanti di 65 delegazioni provenienti da 54 paesi, tra i quali ci saranno 18 presidenti del Paese, 21 primi ministri, 41 ministri degli Esteri, 39 ministri della Difesa, nonché i leader di Nazioni Unite, Unione Europea ed ulteriori 11 organizzazioni internazionali: il summit NATO previsto per l’8 ed il 9 luglio a Varsavia è indubbiamente il vertice più grande mai effettuato. La situazione nell’est Europa – dove si ritiene imprescindibile arginare l’aggressività neo-imperialistica della Federazione Russa, il fianco sud, i rischi emanati dall’instabilità Mediorientale, l’implementazione e l’armonizzazione della cooperazione con l’Unione Europea, burden sharing; i punti all’ordine del giorno saranno numerosi. Eppure, ad oltre 67 anni dalla stipulazione del Trattato di Washington, la sfida più profonda rimane immutata: rafforzare la coesione, prevenire un’ipotetica spaccatura e riconciliare i divergenti interessi degli Stati membri delle aree Est e Sud in conformità con le differenti minacce regionali. E’ questa la priorità stabilita dal Segretario Generale della NATO Stoltenberg in vista dell’imminente summit.

Stati culturalmente, storicamente, politicamente diversi hanno interessi geostrategici e priorità geopolitiche contrastanti che rispecchiano sensibilità antitetiche e spingono ciascun governo ad agire separatamente ed unilateralmente, soprattutto in relazione alla natura dei rapporti bilaterali con i Paesi che non fanno parte dell’Organizzazione. Lo sviluppo di un’efficiente comunità atlantica basata su valori comuni e non esclusivamente sulla difesa collettiva rende fondamentale la cooperazione politica. La domanda sorge, dunque, spontanea: è possibile conseguire maggior unità senza l’esistenza di un nemico per antonomasia, generante paura? Ebbene, l’individuazione di un tangibile, concreto ed imminente pericolo alla sicurezza degli Stati membri, dapprima individuata nell’Unione Sovietica ed ora nella Russia “revanscista” di Putin, continua a rappresentare la giustificazione circa l’esistenza stessa dell’Alleanza. E infatti all’interno di quest’ultima vi è una spaccatura trasversale tra chi ritiene Mosca come IL problema e chi considera ciò che la NATO definisce “MENA” (Middle East & North Africa) prioritario per la propria sicurezza e difesa – principalmente gli Stati del sud-ovest dell’Europa.

L’Italia, in particolar modo, ha sempre guardato a NATO ed Unione Europea come pilastri della propria politica estera, cercando nel contempo di esercitare l’influenza di cui gode e l’apprezzamento della sua diplomazia per incoraggiare il dialogo con la Russia, promettente mercato per gli investimenti nostrani. Non è un caso, infatti, che proprio l’Italia sia il paese europeo maggiormente colpito dalla sanzioni imposte a Mosca a seguito della crisi in Ucraina: le perdite hanno riguardato il comparto manifatturiero ed il settore agro-alimentare, facendo registrare un -34% per l’export italiano. Il nostro paese è, conseguentemente, capofila nell’attività di indirizzamento della strategia NATO verso il Mediterraneo. Nell’era del fondamentalismo islamico, del terrorismo transnazionale, della crisi dei migranti e delle guerre ibride, la minaccia rimane quella di un tempo probabilmente a causa di retaggi del passato. La retorica da guerra fredda 2.0 ha spinto la maggior parte dei paesi membri dell’Organizzazione, salvo rare eccezioni, ad incrementare esponenzialmente la propria spesa in percentuale di PIL nella difesa – seppur, sia chiaro, l’aumento della spesa significa poco se non tradotte in migliorate capacità belliche.

L’Est Europa resta la priorità per la NATO. Tuttavia, lo scudo missilistico in Romania, quello in costruzione in Polonia, il dispiegamento operativo di ulteriori 4 battaglioni da circa 1000 uomini ciascuno nella stessa Polonia e nei paesi baltici (sotto il comando di Germania, Stati Uniti, Regno Unito e Canada) significano poco se non v’è un piano definito e soprattutto la volontà politica di costituire un argine al provocante atteggiamento russo. Vi è poi, inerente il fronte orientale, il problema del Mar Nero: la Romania, desiderosa di divenire l’ “eastern key” della NATO nel bacino, proporrà di costituire una flottiglia navale multinazionale (denominata Black Sea Flottilla) a rotazione, in modo che vi sia costante presenza nell’area di una presenza militare di dissuasione – con la Crimea divenuta nuovamente sede della flotta russa. Una soluzione avversata dall’Italia e da altri paesi dell’Alleanza (tra cui la Bulgaria, attore geograficamente correlato al Mar Nero), che auspicano giustamente il rispetto in toto della Convenzione di Montreux – accordo atto alla regolamentazione della navigazione e del passaggio di navi da guerra e commerciali attraverso lo Stretto dei Dardanelli, che limita fortemente la presenza il naviglio di Stati che non si affacciano direttamente sul Mar Nero.

Ma il Mediterraneo ed il Medio Oriente non saranno trascurati. Migrazioni incontrollate, traffico illegale di armi, montante radicalismo sono pressanti priorità per la comunità euro-atlantica – per l’Italia in primis. Israele (anche grazie alla normalizzazione delle relazioni diplomatiche con la Turchia), Giordania, Kuwait, Qatar e Bahrein avranno un ufficio di rappresentanza presso il quartier generale NATO; cooperazione ed interoperabilità militare sono gli aspetti su cui l’Organizzazione vorrebbe far leva per costituire un fronte omogeneo con le monarchie del golfo persico, ma le crisi in Iraq e Siria monopolizzando le preoccupazioni dei vertici istituzionali. Seppur improbabile un intervento militare diretto, la NATO, attraverso logistica e rifornimenti, deve sostenere gli alleati che hanno scelto di intervenire e nel futuro coloro che si interporranno lo scopo di stabilizzare tale Paese. Infine, ma non di minor importanza, a Varsavia saranno studiate le metodologie per acquisire e rafforzare le capacità di fornire risposte efficaci alle minacce ibride e multidimensionali, in particolare quelle cibernetiche: non a caso, infatti, il cyber verrà presumibilmente riconosciuto quale dominio operativo suscettibile di provocare l’attivazione dell’articolo 5.

Il summit di Varsavia sarà sicuramente storico e le decisione che verranno prese segneranno un’era. L’agenda è ambiziosa e sarà difficile rispettarla integralmente. Tra venti di guerra fredda e modernità, resta da capire se la NATO sarà in grado di adattarsi alla congiuntura internazionale e divenire un attore di rilevanza sulla scena mondiale, al fine di garantire, attraverso solidarietà ed unità, la sicurezza a lungo termine in Europa e non solo.