– di Filippo Del Monte – La “Relazione al Parlamento in materia di armamenti” inviata dalla Presidenza del Consiglio ha evidenziato la crescita delle esportazioni d’armi italiane. In due anni i guadagni sono passati da 7,9 miliardi a 14,6 con un aumento dell’85,7%. Non è una novità la presenza del nostro Paese nella “top ten” mondiale degli esportatori d’armi, però mai nel corso degli anni erano state raggiunte cifre simili. Dopo il crollo del mercato nel 2014, anche la nostra industria della difesa si sta riprendendo rafforzando le vecchie partnership – molte delle quali figlie della diplomazia della Guerra fredda – e, soprattutto, andando ad aprirsi nuovi mercati.

La maggior parte dei compratori restano Stati europei come Gran Bretagna, Germania, Francia e Spagna; la prima tra i maggiori importatori di armi al mondo e gli altri tre partner con cui l’Italia da anni ha un cospicuo interscambio di sistemi d’arma. Le cifre sono da capogiro, ma la vera sorpresa resta il nostro primo cliente: il Kuwait. Il piccolo Stato del Golfo persico ha infatti sborsato 7,3 miliardi per l’acquisto di 28 caccia Eurofighter targati Leonardo (ex Finmeccanica), gruppo industriale in cui il Tesoro detiene il 51% delle azioni nonché colosso nazionale nei settori della difesa e dell’aerospazio. Nonostante l’Eurofighter sia considerato da molti come un caccia ormai sorpassato, resta comunque il miglior prodotto europeo sul mercato. Al tempo del grande dibattito sull’utilità o meno dei caccia F-35 non pochi militari e politici sostennero l’ipotesi di ammodernare il caccia europeo finanziando un nuovo programma di sviluppo così da abbattere i costi ed evitare la “sudditanza” agli USA, vista anche la disparità di trattamento riservata agli alleati europei da parte di Washington in occasione dell’acquisto dell’F-35.

Un caccia Eurofighter italiano decolla dalla base di Gioia del Colle

Altri clienti degni di nota della nostra industria militare sono l’Arabia Saudita, il Qatar e la Turchia; tre dei Paesi impegnati nella “guerra dei trent’anni” dell’Islam, alleati molto ambigui dell’Occidente e soprattutto sponsor dei movimenti islamisti d’ispirazione sunnita nel mondo. Il giro d’affari con l’Arabia Saudita che coinvolge la gran parte delle Potenze occidentali è anche una delle cause per cui la diplomazia “atlantica” è da sempre accondiscendente con Riyad.

Dalle statistiche si scopre che i Paesi compratori non sono tanto interessati tanto alle nostre armi leggere quanto ad aerei, elicotteri, navi ed armamento navale; cioè tutti quei settori nei quali l’Italia eccelle, veri simboli del “made in Italy” al pari dell’industria del design o delle automobili sportive. A desiderare con particolare foga questi “gioielli d’acciaio” dell’italianità sono i Paesi arabi o nordafricani, quasi a riprodurre sotto altra forma le aree geografiche di primario interesse per la nostra politica estera. Dalla mappatura dell’export degli armamenti si possono infatti notare almeno due particolari importanti: un rafforzamento delle partnership con i Paesi della sponda meridionale del Mediterraneo ed il tentativo di rimettere piede in Medio Oriente dopo lo sfacelo politico-diplomatico delle “primavere arabe”.

L’export di armi italiano nel 2014 ed i Paesi islamici acquirenti

La “scalata” di posizioni del Kuwait nella classifica dei compratori di armi italiane (quando fino al 2014 questa posizione era occupata tra i Paesi mediorientali dalla Turchia) non può essere casuale, al di là della ingente cifra spesa nell’acquisto dei caccia. La particolare attenzione mostrata dalla nostra industria degli armamenti nei confronti di Stati come Yemen ed Emirati Arabi Uniti evidenzia uno sbocco politico importante per la nostra politica estera; la ricostruzione dei legami commerciali e diplomatici con i Paesi del Golfo – anche con il mezzo della vendita d’armi se necessario – deve essere una priorità per l’Italia. Tolte le lenti fuorvianti del pacifismo ideologico di certa politica e società civile nostrane, bisogna leggere quanto è contenuto nella “Relazione al Parlamento in materia di armamenti” come un importante successo del nostro Paese nel mondo accompagnato da una grande occasione per la riapertura di canali politico-diplomatici che sembravano ormai chiusi con le “rivoluzioni” ed i conflitti delle “primavere arabe”.

Le spese militari delle principali Potenze mondiali (Dati SIPRI)