Viaggio nel cuore del Piemonte, nella bellissima Asti, candidata a Capitale della Cultura 2025.

Abbiamo incontrato l’Assessore alla Cultura Paride Candelaresi, 37 anni, alla sua seconda elezione tra le fila della maggioranza del sindaco Maurizio Rasero.

Entrambe le volte primo eletto della sua lista e recordman di preferenze tra i primi cinque del suo territorio. Lavora in casa editrice e passa intere giornate nel suo ufficio in Assessorato, posto all’interno del Teatro Alfieri.

Asti, candidata a Città Capitale Italiana della Cultura 2025. Cosa pensate possa distinguervi e quali sono i vostri punti di forza?

 

Da diversi anni si discuteva in città dell’ipotesi di candidarsi per questo importante riconoscimento. Dopo una serie di attente valutazioni nel nei primi mesi del 2022 abbiamo capito che era il momento giusto: le associazioni erano pronte, le istituzioni anche, e i cittadini più che mai! Abbiamo cominciato a lavorare con tutti i soggetti del territorio operanti nel mondo culturale, non abbiamo lasciato indietro nessuno: la risposta è stata frutto di un grande percorso condiviso fatto di confronto ed entusiasmo.

I nostri punti forti sono molti ed eterogenei. Abbiamo una cultura legata alla letteratura e al cinema molto importante. Asti è la mamma di Vittorio Alfieri, il maggior scrittore italiano di tragedie.

Palazzo Alfieri e il suo museo sono un fiore all’occhiello della nostra città. Qui da noi vive la più grande esperta alfieriana al mondo che ha curato le principali pubblicazioni dedicate al poeta. Ma Asti ha dato i natali anche a Giorgio Faletti.

E non dimentichiamoci di Gian Marco Griffi, nostro concittadino e ora proposto al Premio Strega con il suo ultimo romanzo, “Ferrovie del Messico”, non a caso ambientato ad Asti. E poi Pastrone, regista di Cabiria, colossal del cinema muto co-sceneggiato da D’Annunzio. E Lucio Pellegrini con la sua serie incentrata sul Nucleo speciale antiterrorismo e la storia di Carlo Alberto dalla Chiesa.

Anche con la musica però non scherzate.

Uno dei più grandi cantanti e conosciuti al mondo è Paolo Conte. Non tutti forse sanno che è di Asti e non ha mai abbandonato la sua città. Penso che i suoi componimenti siano tra i più acuti e amati da generazioni anche molto lontane fra loro. È un uomo che ha unito i cuori grazie alla musica. Così come lo ha fatto Tiziana Fabbricini, eccelso soprano che ha aperto La Scala nel 1990 con una Traviata del Maestro Muti passata alla storia. E poi Gianni Basso, il tenore Angelo Gamba e la nostra Orchestra sinfonica.

Cosa vorreste valorizzare in caso di vittoria?

Noi tutti siamo dell’idea che questo percorso intrapreso sia il punto di partenza e non di arrivo. A prescindere dal risultato abbiamo capito chi siamo e dove stiamo andando. Sarebbe bello valorizzare ulteriormente l’Asti medievale, noi che una volta eravamo la citta delle cento torri e siamo stati una potenza economica inarrivabile, favorita dalla sua posizione strategica. Asti ha avuto un ruolo di primordine nella rete degli scambi culturali e dei traffici commerciali. Nel Medioevo i nostri uomini d’affari erano potentissimi e oggi, grazie alla posizione strategica, stiamo lavorando scientificamente a ritrovare la centralità che ci spetta. Siamo una realtà di provincia, ma intelligente e laboriosa. Da quella fioritura di cui il centro piemontese conserva mirabili testimonianze artistiche e architettoniche.

A Palazzo Mazzetti, ad esempio, una vera chicca: potete vedere come doveva apparire Asti nel Seicento grazie al dipinto (bellissimo!) di Pietro e Giovanni Antonio Laveglia “Apostoli sulle rive del Borbore” del 1671 circa. E per tornare ancora più indietro nel tempo la cripta romanica all’interno del complesso di Sant’Anastasio dove si ammirano capitelli e colonne d’età romana e altomedioevale. Insomma, siamo la somma di tante cose: il Palio, le Sagre, lo scenografo Guglielminetti, Bruno Gambarotta, il vino, le nostre dolci colline e la cucina piemontese. Mi fermo qui, sennò parlerei per ore.

Qual è titolo del vostro dossier di candidatura?

Il nostro lavoro, figlio di circa 180 progetti presentati si chiama “Dove si coltiva la cultura”, perché facciamo riferimento alla nostra cultura contadina e all’idea di coltivare, di far crescere i giovani. Il cuore di tutto il progetto è dedicato a loro e al concetto di rigenerazione. Papa Francesco che ha origini astigiane (i suoi avi erano di Passerano Marmorito, Cocconato d’Asti e Montechiaro d’Asti), tornando in visita qui il 20 novembre, poco meno di tre mesi fa, ci ha accolti dicendo che una società che non guarda al futuro e ai giovani è una società che recide le sue radici.

È un concetto molto bello. Siamo molto orgogliosi di questa visita fatta dal Santo Padre che, entrando nella nostra magnifica Cattedrale, ha alzato gli occhi vero gli affreschi e li ha ammirati stupefatto con un sorriso di approvazione: gli astigiani erano tutti commossi e inorgogliti da questo suo gesto.

Noi stiamo puntando ai giovanissimi. Rigenerazione significa guardare al sociale e al tessuto urbanistico, ma soprattutto cultura intesa come ambiente in grado di produrre opportunità, pratiche creative e artistiche. Guardiamo e raccontiamo nel dossier quello che siamo stati ma puntiamo al futuro.

Quindi pensa che cultura ed economia non viaggino su binari paralleli e Asti possa avere ulteriori opportunità.

Le dico solo questo, ha visto la serie più acclamata e vista del momento su Netflix? La legge di Lidia Poet ha delle immagini magnifiche girate al Teatro Alfieri, proprio sotto il mio ufficio. Quindi sì, la mia risposta è sì, le opportunità con un riconoscimento del genere saranno ancora di più.

 

E dell’intreccio tra politica e cultura cosa mi dice?
Guardi, sarò franco, noi abbiamo lavorato con tutti. Uso il noi perché in questa partita così importante, il riconoscimento di tutto un territorio, da soli non si va da nessuna parte. La cultura è di tutti, certo ci può essere uno sguardo differente su come affrontare una proposta, ma la vera democrazia sta nel consentire a ognuno di esprimere la propria opinione e rispettarla.

La cultura non può e non deve essere appannaggio di l’uno o dell’altro. Pensiamo a Pasolini e Arbasino tanto ideologicamente lontani in molti frangenti, quanto rispettosi l’un dell’altro, o al mitico Papini, e poi a Moravia, Ginzburg, Berto e Bontempelli. Si può essere grandi artisti, al netto delle proprie visioni politiche. Per me conta la potenza di un’idea. Ah, dimenticavo, una cosa che mi piacerebbe valorizzare è questa. Lo sa che Giovanni Battista De Rolandis, l’inventore del Tricolore era astigiano? Siamo proprio forti noi di Asti!