Guido Bertolaso in una foto di archivio scattata a Palazzo Salerno, sede del comando militare di Napoli, durante l' emergenza rifiuti. ANSA ARCHIVIO/CESARE ABBATE/CRI

-a cura di Tommaso Taramella- Alla fine è uscito il coniglio dal cilindro. Il coniglio si chiama Guido, ma il prestigiatore è, ancora una volta, Silvio. Proprio così, il primo risultato chiaro che emerge da queste amministrative è che a dare le carte nel centrodestra è ancora Silvio Berlusconi, attualmente unico federatore di quello che rimane del centrodestra italiano e autore di due candidature di spessore come Parisi e Bertolaso. Se questa strategia sarà premiata dai milanesi e dai romani è tutta un’altra storia, oltre ai nomi servono contenuti, ma prima di tutto servono chiarezza e coerenza, è indispensabile ricostruire un clima di fiducia tra una politica, sempre più compromessa e distante dal mondo reale, e i cittadini, sempre più delusi e disorientati.

Veniamo ora all’uomo che è riuscito fin da subito a far parlare di sé, a ridare una speranza ad un centrodestra romano sempre più allo sbando. Nelle prossime settimane ci troveremo a raccontare il candidato Bertolaso nelle varie tappe della campagna elettorale e nelle udienze giudiziarie che lo attendono, però ora vogliamo mandare indietro il nastro e raccontarvi quello che Guido ha fatto in questi anni lontano dalla vita pubblica e lontano dall’Italia.

Nel 2012 Bertolaso vola in Africa, al “Fatto Quotidiano” ammette che lo fa per ritrovarsi. Così va in Sudan, precisamente a Yirol dove lavora in un ospedale al servizio del Cuamm, un gruppo di medici che dal 1950 opera nel Continente Africano. Qui durante le attività che lo impegnano nella lotta contro la malaria dalle 6 del mattino fino alla sera, ritrova una persona che durante gli anni passati come funzionario dello Stato Italiano aveva perso di vista. Ritrova Guido, lì semplicemente il “pu mei”, l’uomo bianco.

Due anni dopo, nel 2014, lo troviamo ancora in Africa, in Sierra Leone, nel distretto di Pujehun, a combattere la più grande epidemia degli ultimi decenni, Ebola. In un reportage targato “Il Giornale” è lo stesso Bertolaso a raccontare la sua missione, i luoghi, i momenti e le sensazioni di questa ennesima sfida, di questa ennesima emergenza. In un territorio tropicale, dove l’umidità e l’afa lo accompagnano tutto il giorno, Guido e gli altri volontari, si trovano a dover formare gli operatori sanitari, devono fronteggiare la scarsa organizzazione, la paura e la diffidenza della gente, devono realizzare un “ebola holding center”, una struttura di isolamento in cui vengono portati i casi sospetti in attesa degli esami di laboratorio. E così hanno osservato centri simili, hanno individuato il luogo adatto e progettato la struttura. Dovevano tener conto di tre vincoli: le linee guida dell’Oms, il territorio impervio e le scarse risorse a disposizione. La soluzione migliore è stata trovata riducendo le dimensioni del centro, ma garantendo comunque le funzioni e la sicurezza. Ha tagliato la legna e zappato la terra insieme ai ragazzi del luogo, guadagnandosi il loro rispetto e motivandoli non impartendo ordini dall’ufficio, ma dando l’esempio, diventando uno di loro.

Oggi è in campo per diventare Sindaco di Roma. Per vincere queste elezioni e, cosa più importante, per sanare le ferite di una città gravemente malata di corruzione, di degrado e di indifferenza non servirà il funzionario Bertolaso. C’è bisogno del giovane Guido ricercatore nel campo delle malattie tropicali in Africa, creatore e direttore di ospedali in zone di guerra. C’è bisogno del Guido ritrovato in Sudan contro la malaria e del Guido combattivo in Sierra Leone contro Ebola. In fondo i mali sono diversi, ma la cura è molto simile, isolare i casi sospetti, imitare le esperienze positive delle altre capitali, sfruttare al meglio le scarse risorse umane e materiali, ma la cosa più difficile che lo attende sarà guadagnarsi la fiducia dei cittadini di romani. Lo potrà fare solo mettendoci la faccia e facendo squadra con loro.

 

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