– di Filippo Del Monte – A George Liska spetta indubbiamente un posto d’onore tra i grandi studiosi realisti delle relazioni internazionali. Il teorico cecoslovacco delle relazioni internazionali ha più di tutti rappresentato la corrente “storicista” del Realismo arrivando a definire il suo pensiero “geostorico”. Se Hans Morgentahu ha tratteggiato le caratteristiche della politica di potenza – tutt’ora principale motore delle relazioni internazionali – George Liska l’ha poi inserita nel “contesto storico” declinandola attraverso varie fasi della storia. Tra gli autori realisti Liska è stato quello più influenzato dalle teorie geopolitiche; in altre parole, quello che nell’ambito della sua teoria ha dato importanza primaria al fattore geografico, motore di ogni politica adottata dagli Stati.

Il fattore geografico è indissolubilmente legato al commercio e proprio su questo secondo argomento si dipana un’altra delle riflessioni di Liska, innovativa rispetto ai postulati liberali e radical-marxisti: il commercio internazionale e l’interdipendenza economica, anziché costituire un incentivo alla “pacificazione” mondiale, spingono gli Stati a competere per l’apertura di nuovi mercati. Apparentemente questa tesi di Liska si avvicina molto alla teoria leninista sulle connessioni tra capitalismo ed imperialismo; poi però ci si rende conto che Liska smonta i postulati di Lenin evidenziando come lo scontro internazionale per la conquista dei mercati abbia una valenza prima di tutto politica (legata appunto alla “potenza” di Morgentahu) e come il fattore economico sia presente sempre e solo sullo sfondo. Nel realismo di Liska la politica è sempre superiore all’economia, mettendo in luce la lontananza del pensatore cecolsovacco dai paradigmi liberali e la sua vicinanza a teorici come Karl Haushofer.

Sulla definizione e la classificazione delle Potenze Liska deve molto – come sottolineato da Angelo Panebianco – alle teorie di Meckinder e dunque alla scuola britannica di geopolitica. Liska però apporta novità interessanti alla teoria del dualismo conflittuale Potenze marittime – Potenze terrestri individuando anche una sorta di “ibrido” nelle Potenze anfibie e distaccandosi in tal modo dal determinismo che contraddistingueva la geopolitica “classica”. In un certo senso questa innovazione di Liska può essere vista come l’ultima critica novecentesca a Mackinder dopo quelle dei geopolitici italiani Massi e Roletto negli anni ’30. Eppure il più importante contributo di Liska allo studio delle relazioni internazionali è senza dubbio la divisione dei “sistemi internazionali” in macrosistemi e microsistemi. Anticipando la svolta “sociologica” di certo realismo ed anche le influenze culturali individuate da Samuel Huntington ne “Lo Scontro di Civiltà”, Liska ha consegnato alla comunità accademica, ma anche a politici e diplomatici, uno strumento per comprendere l’evoluzione dell’attuale Sistema internazionale ed i meccanismi d’influenza negli e degli “imperi”.

Riassumere in poche righe il pensiero di Liska è ingeneroso, ma è stato necessario per entrare nel vivo della questione qui trattata, cioè sottolineare quanto sia utile un recupero di Liska (che in alcuni casi potrebbe trattarsi di una vera e propria scoperta) alla luce di una fase di transizione del Sistema internazionale. La “ritirata” degli USA da molti degli scenari di crisi – e se Trump rispetterà il suo programma tale processo non dovrebbe essere invertito – sta dando vita ad una transizione in cui alla presenza di una Potenza egemone si accompagna il “sottobosco” delle altre Potenze in lotta tra loro. In altre parole si potrebbe azzardare che all’interno di un Sistema unipolare esista un sotto-sistema multipolare. A fare le spese di questo cambiamento – nell’era della geopolitica dei “grandi spazi” – potrebbero essere proprio le medie Potenze come l’Italia ed è fondamentale rileggere Liska proprio per capire alcune scelte della nostra politica estera.

La grande critica di Liska alle teorie liberali è legata anche all’impossibilità di coniugare prosperità economica e potenza militare. La storia è ricca di esempi di Stati ricchi ma militarmente deboli e viceversa. L’Europa unita contemporanea, che Liska ha definito “metasistema”, è un caso legato proprio a tali postulati: l’UE è la più grande economia del mondo, eppure è incapace di proiettare all’esterno la propria forza, sembra perennemente in balia dei venti che agitano lo scenario internazionale senza essere in grado di imporsi. Un’Europa debole, incapace di ritagliarsi uno spazio nel mondo diverso da quello del “grande mercato” o di patria dei “diritti universali”, ergo di Potenza “civile” (di per se un ossimoro bello e buono) non sarà in grado di sopravvivere alle sfide di questo Secolo, gigantesca transizione che sta causando la morte di un Sistema internazionale valorialmente “eurocentrico” con conseguenze ancora incalcolabili. L’unico modo a disposizione dell’Europa per evitare il disfacimento sarebbe una “rivoluzione” politico-istituzionale, con un impatto duraturo sul sistema comunitario che imponga delle linee guida per la Politica estera e di sicurezza comune; in altre parole, o l’Europa sarà capace di trasformarsi realmente in uno “spazio imperiale” o saremo destinati ad assistere alla finis Europae che sarà ben più grave dell’eventuale scioglimento dell’UE. Quello di oggi, troppo legato all’equazione liberale ricchezza = potenza non è il modo migliore per rispondere all’emersione di nuove Potenze dalla periferia del Sistema internazionale “eurocentrico”, su tutte Cina – nella sua nuova veste di “campionessa” della globalizzazione -, Brasile ed India.

Insomma, “The Ways of Power”, opera principale di George Liska, continene quelle che sono le lenti adatte per leggere i futuri scenari internazionali, per difendere una certa idea di Italia ed una certa idea di Europa dalla marea montante attorno a quell’impero senza imperium chiamato Unione Europea. A destra se ne faccia tesoro.