-di Filippo Del Monte – Con “destra dei valori e sinistra del lavoro”, il fortunato slogan del filosofo nazional-comunista Alain Soral, si può sintetizzare il programma di Marine Le Pen per le Elezioni presidenziali del prossimo 23 aprile. In questa campagna elettorale serrata, dove Le Pen sembra lanciata – almeno nel primo turno – verso una cavalcata trionfale, il Front National sembra essere divenuto un partito “adulto”. Dismessi i vecchi panni da partito permanentemente all’opposizione, la “fiamma francese” sembra essere realmente divenuto quel “grande movimento patriottico né di destra né di sinistra” che Marine Le Pen ha faticato non poco a far nascere.

Nell’ultimo comizio di Nantes – storico feudo “rosso” – Marine Le Pen ha sparigliato nuovamente le carte in tavola alla sinistra e ad una destra repubblicana che sembra aver perso la bussola. Il filo rosso dell’arringa lepenista è stato quello della lotta contro il capitale transnazionale; un nemico al tempo stesso interno ed esterno che non si è fatto scrupolo a manovrare l’Eliseo come un abile burattinaio per asservire la Francia agli interessi economico-finanziari internazionali. Marine Le Pen si è mossa entro il binario tracciato con maestria dagli intellettuali nazionalisti transalpini a lei vicini: destra e sinistra sono due poli neoliberisti, ad essi bisogna opporre la “Nazione” intesa come categoria unitaria, come patria e culla delle identità specifiche della Francia profonda, come madre di quel popolo francese vittima più che carnefice nel processo di globalizzazione iniziato dagli anni ’90 in poi.

Al di là delle parole d’ordine sul contrasto all’immigrazione incontrollata e della proposta – pur importante e da tenere nella dovuta considerazione – di prolungare il mandato presidenziale a 7 anni con mandato non rinnovabile; si deve riflettere proprio su quella che appare una “lotta di classe” trasfigurata sul piano internazionale, dove però il proletariato è stato sostituito dal “popolo” interclassista. Quel popolo che in sé racchiude una grande forza rivoluzionaria pronta ad esplodere, quel popolo di cosacchi di cui già nel 1854 la penna ironica e pungente dell’anarchico Ernest Coeurderoy aveva tracciato le caratteristiche nel libro “Hurrah! ou la revolution par les Cosaques“: questi cosacchi del XXI Secolo, prostrati dalla crisi economica e senza prospettive, reclamano con forza un posto nel focolare sociale, sono rivoluzionari “per la forza delle cose”, perché anelano disperatamente ad una vita migliore di quella che, sembra, la globalizzazione abbia programmato per loro.

Mentre le masse affamate di Coeurderoy avrebbero prima o poi rotto gli indugi riversandosi violentemente nelle strade, gli “scontenti” odierni si radunano ai comizi di Marine Le Pen e voteranno per la bionda leader del Front National che promette loro il ritorno  in grande stile dello Stato, spirito e braccio del popolo, suo protettore ed “allocatore etico” delle risorse. Al di là della giusta narrazione – parola che sarebbe da cancellare dal vocabolario e dalla prassi della politica – lepenista, il successo per la leader del FN deriva da una oculata lettura della crisi sociale francese: l’implosione del sistema assimilazionista, un ceto medio sempre più povero, le mancate riforme sociali annunciate e mai attuate, un proletariato messo alle strette dalle pastoie della concorrenza globale, sono tutti fenomeni che i lepenisti hanno intuito ed hanno poi analizzato fino a sviluppare una compiuta “teoria del conflitto” estranea però alla tradizione neo-marxista.

Il “nazionalismo sociale” lepenista ha scelto consapevolmente di accettare la logica della lotta di classe, ma non per portarla alle estreme conseguenze dei maurrassisti o dei nazionalisti italiani di inizio ‘900, bensì per risolvere alla radice il conflitto sociale. Ad una società che odia s’oppone una comunità nazionale che ama; il momento politico torna centrale scalzando il momento economico; il cittadino è coinvolto in un processo di “umanizzazione” da opporre a quello della “massificazione” selvaggia. E’ anche, forse soprattutto per questo, che Marine Le Pen riempie le piazze falcidiando i consensi di una sinistra che per essere umanitarista è divenuta disumana, ed il comizio di Nantes è stata la dimostrazione nella prassi di quanto fin qui esposto in teoria.