proteste-in-romania– di Alessio Marsili – Lo scorso 30 ottobre, in un locale della capitale Bucarest, un noto gruppo rock romeno ha causato lo scoppio di un incendio che ha scatenato il panico all’interno del locale sovraffollato nel quale teneva un concerto; una esibizione che, date le contenute ed inadeguate strutture, non avrebbe dovuto svolgersi. Risultato: 32 vittime, giovani romeni, morti nella calca mentre tentavano invano di raggiungere l’unica uscita di sicurezza del locale.

Decine di migliaia di cittadini – almeno trentamila -, si sono rivoltati in piazza a Bucarest, nei giorni seguenti l’immane tragedia per chiedere le dimissioni del governo del leader socialdemocratico Victor Ponta. I manifestanti hanno chiesto a gran voce le dimissioni del Primo Ministro, lamentandosi della scarsa supervisione della sicurezza e soprattutto, dell’elevata corruzione. Una contestazione che, grazie alla diffusione sui social, ha conosciuto una celere espansione capillare su tutto il territorio e oltre alla capitale anche altri importanti centri del Paese quali Cluj, Timișoara e Costanza hanno visto i propri abitanti scendere in piazza per dire la loro.

L’insofferenza del popolo romeno per la corruzione ha raggiunto, infatti, il culmine: un male che affligge la classe politica della Romania – percepita come in perenne decadenza – sin dai tempi del crollo del regime comunista. Il Parlamento Europeo, ben conscio del fenomeno dilagante della corruzione presente nel Paese, arrivò perfino a minacciare di posticipare l’adesione di Bucarest all’Unione Europea nel lontano 2004; il governo del Paese adottò efficienti misure di contrasto a tale problema, come dimostrano i numerosi arresti di personalità rilevanti – lo stesso sindaco di Bucarest, il medico Sorin Oprescu, è stato recentemente incarcerato con l’ accusa di aver preso parte ad un giro di tangenti.

Eppure Victor Ponta sembrava essere l’uomo giusto. Al momento della sua elezione nel 2012, è il Primo Ministro più giovane che il paese abbia mai conosciuto; carisma, ampio seguito, dinamicità sembrano assicurargli il successo e non sono pochi i cittadini che riponevano in lui le speranze di un risanamento della classe politica, da lungo atteso. I nodi vengono al pettine lentamente, e la pressione monta: dapprima, la denuncia per la sua tesi di laurea – denunciata di plagio -, e le ben più gravi accuse di frode, evasione fiscale e riciclaggio. Nel 2014, poi, il ridimensionamento: candidato a Presidente della Repubblica, perde al ballottaggio con uno scarto di oltre 10 punti percentuali dal candidato conservatore di centro-destra Klaus Iohannis.

Al grido di “vergogna” ed “assassini”, il popolo ha ottenuto una risposta rapida e concreta: Victor Ponta ha consegnato le dimissioni, e con lui viene meno l’intero esecutivo. “Rimetto il mio mandato, mi dimetto, e di conseguenza si dimette l’intero mio governo. Ho l’obbligo di constatare la legittima rabbia esistente all’interno della società e di assumermi le mie responsabilità” ha dichiarato Ponta. Nel frattempo, il Presidente Iohannis ha avviato, il 5 novembre, nuove consultazioni per individuare un ipotetico nuovo primo ministro e formare un nuovo governo prima delle elezioni che si sarebbero dovute svolgere nel dicembre 2016.

Primavera romena? E’ vero, I numeri divergenti non permettono un’analogia con le rivolte avvenute nel mondo arabo. Elementi di comunanza comunque non mancano, una su tutte intolleranza nei confronti della corruzione politica. I manifestanti continuano imperterriti nella loro battaglia, anche dopo aver ottenuto le dimissioni del governo Ponta; desiderano riforme, maggiormente incisive, ed elezioni anticipate strumentali ad evitare sterili giochi di palazzo. I romeni si sono mostrati decisi ad andare fino in fondo, e questo episodio dimostra che, nonostante tutto, la piazza può ancora dire la sua. Ai posteri l’ardua sentenza.