A cura di Andrea Amata – I sondaggi accreditano la Lega di Salvini al 32% e registrano il sorpasso sul M5S (28%), delineando un divario incolmabile su Forza Italia (sotto il 7%). Da tali dati possiamo ricavare alcune riflessioni sulle motivazioni che inducono i cittadini a riporre la loro fiducia su Matteo Salvini.

L’unica autorevolezza che oggi viene riconosciuta è quella dei risultati derivati da processi decisionali sempre più verticalizzati. L’agibilità politica è stata in affanno, a causa dei vincoli europei che comprimono l’azione dei governi nazionali, e contestualmente si registra un’alta volatilità elettorale che misura l’imprevedibilità del voto con una traiettoria non configurabile in anticipo, essendo la destinazione elettorale mutante e fluttuante. Il primo fattore trasmette i suoi impulsi al secondo accelerandone la mobilità. L’inagibilità politica, intesa come causa improduttiva delle scelte politiche, ha destrutturato la fiducia dei cittadini che non si riconoscono più in un’enfasi narrativa che celebra le opportunità e ne omette la praticabilità. Ecco che l’irruzione di un leader come Matteo Salvini sta ripristinando un sentimento di fiducia con il suo linguaggio di verità, non limitandosi a dopare di aspettative la società ma intervenendo sulle cause che inibivano l’agibilità politica come la menomazione uditiva di un’Europa che fatica a recepire la richiesta di essere collegiale nella gestione dei flussi migratori la cui pressione ha impattato unilateralmente sull’Italia, importando un aggiuntivo malessere sociale.

Il merito di Salvini è di aver rimosso il cerume dalle orecchie dell’élite europea, che non può continuare a sottrarsi alla suddivisione di quote dei migranti aventi titolo a richiedere protezione. Così come l’Europa non può continuare ad eludere il problema dei trafficanti di esseri umani che godono della complicità di alcune organizzazioni non governative che si ammantano di una presunta vocazione umanitaria.

La sinistra negli anni ha mostrato il suo deficit di realtà rintanandosi in una narrazione astratta e avulsa dal vissuto quotidiano dei cittadini. Così ha approfondito il solco che la separa dalle masse territorializzate e incarnate nel corpo sociale. Una sinistra disincarnata che affida il suo riscatto a testimonianze mediatiche come Saviano che officia con tono salmodiato la predica collerica contro la Lega fascista. La sinistra residuale si aggrappa a categorie demonizzanti estratte da un repertorio deteriorato e ammuffito che appartiene ad una stagione archiviata. Dunque, una sinistra anche destagionalizzata che dissotterra armi dialettiche truffaldine nel pacchiano tentativo di agitare fantasmi ideologici con lo scopo di rimotivare un consenso rattrappito.

Non bastano i Saviano e i sacerdoti di un declinante, quanto arrogante, politicamente corretto ad inibire l’ascesa nei sondaggi della Lega il cui lessico di deviazione dal pensiero convenzionale viene additato come trasgressione, violazione e abuso da “illuminati” intellettuali che per una avocata ed imperscrutabile superiorità antropologica emettono sanzioni morali e pene accessorie con l’interdizione perpetua dalla pubblica umanità.

Salvini si è connesso con la profondità del tessuto sociale intercettando quel brontolio di disagio per troppi anni inascoltato, non lo ha strumentalizzato in rancore sociale ma ha convertito la sua energia in forza positiva, canalizzandola in un percorso di partecipazione e di fiducia e rigenerando uno spazio di impresa collettiva che si era devitalizzato. La democrazia italiana per troppi anni si è avvitata su una liturgia di impotenza che ha disinnescato ogni tentativo di innovazione. Il leader della Lega si è intestato la sfida di cambiare l’Europa per cambiare l’Italia perché ha capito che l’immobilismo dell’una trascina nel pantano stagnante l’altra. L’Europa con i suoi vincoli finanziari ottusi e la sua indifferenza verso i processi migratori, che peraltro sue componenti importanti hanno innescato con la destabilizzazione del teatro libico, ha rappresentato l’alibi per quelle forze politiche incapaci di declinare in azione la loro piattaforma programmatica, consegnandosi al fallimento su cui sta prosperando il populismo.

Il fattore di novità è che le forze di governo qualificate come populiste non si stanno affidando alla scusante europea per precostituirsi una giustificazione, ma stanno operando per imporre all’Europa un’agenda politica finora disattesa e, dunque, vogliono rinunciare all’alibi che ha consentito loro di rinvigorire. Non si stanno incagliando alla premessa di un’azione incompiuta, addebitabile ai vincoli e agli egoismi sovranazionali, ma sono indirizzati al conseguimento degli obiettivi enunciati nel contratto di governo.

In questa riconciliazione fra il momento della propaganda e quello del governo si palesa il fattore di novità che ammutolisce la controparte politica che risulta ulteriormente ridimensionata nella percezione collettiva che ha ormai perforato la corteccia di ipocrisia con cui sono rivestite le forze dell’impotenza.

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