charlie hebdo– di FRANCESCO SEVERA – I giorni terribili che hanno aperto questo 2015 rimarranno sicuramente per molto tempo nei nostri ricordi. Ancora di più essi segneranno gli sviluppi politici e culturali della nostra Europa nei mesi a venire. La risposta che abbiamo visto con la grande marcia di Parigi è stata essenzialmente emozionale: due milioni di persone riversatesi nelle strade della capitale francese. Una massa umana che pacificamente ha dimostrato il suo dolore e la sua indignazione, ma che soprattutto ha esorcizzato quel sentimento di terrore e paura che i terroristi volevano insinuare nella nostra società. A guidarla i leader dei paesi del vecchio continente, insieme ai rappresentanti di Israele e OLP. Vi era anche il re di Giordania Abd Allāh, presenza simbolica questa, in quanto egli è l’ultimo rappresentante di quella dinastia Hashemita che si dice sia diretta discendente del profeta Maometto: proprio quel profeta che i terroristi di Charlie Hebdo avevano detto di voler vendicare con le loro azioni. Quindi una grande risposta di unità e di condanna della violenza. Ma è evidente che oggi, passato il tempo dello stupore e del dolore, sia arrivato il momento della ragione, il momento in cui è necessario analizzare ciò che è accaduto e tentare di capire come affrontare questa situazione.

E’ evidente che nella scelta dei fratelli Kouachi di colpire un giornale satirico, che esprime dunque nella maniera più iperbolica e dissacrante il concetto di libertà di espressione, vi fosse la volontà di compiere un gesto simbolico. Vi è stata quasi la volontà di esprimere il proprio disprezzo verso quella libertà, che secondo la loro concezione rappresenta uno dei caratteri distorti che rendono la cultura occidentale così moralmente inaccettabile. Possiamo allora leggere in questo gesto una vera e propria ideologia, la quale non solo si oppone e si propone di combattere un dato modello culturale quale quello occidentale, ma addirittura – ed è qui il grande salto di qualità dell’estremismo islamico – ne propone uno alternativo. A questo modello occidentale, che non bisogna dimenticare essere prima di tutto radicato sul cristianesimo ed essere caratterizzato dal concetto di democrazia, non intesa tanto come governo del popolo, quanto invece come dato culturale che fa guardare alla persona non solo in quanto appartenente ad una data comunità, ma nella sua individualità, si contrappone un modello ideologico comunitario, che esclude le minoranze e si fonda sull’appartenenza religiosa. Il dato nuovo che ci troviamo davanti in questo particolare momento storico sta nel fatto che tale modello ideologico non è più semplice utopia, ma si sta concretizzando nello Stato Islamico di Iraq e Siria. Una vera e propria entità statale, come dice Carlo Panella, editorialista de Il Foglio, che si sta radicando in territori culturalmente omogenei; che applica sul territorio che controlla la legge islamica, in un modo non meno brutale di quanto accada in Arabia Saudita o negli altri paesi del Golfo; che sfrutta risorse economiche; che assicura ai suoi cittadini i servizi minimi, ordine pubblico in primis; ma soprattutto una realtà da cui, dopo la fuga in massa di cristiani, yazidi e curdi, non scappa più nessuno. Un tentativo di riaffermare una data identità culturale alternativa rispetto a quella occidentale. Ma ci potremmo chiedere le motivazioni di una risposta così estrema ed ideologica. Potrà sembrare paradossale individuare tali motivazioni nella paura e nel terrore che la cultura, il modus vivendi, la libertà europei provocano nel mondo estremista musulmano, in quanto essi possiedono una caratteristica a cui è difficile opporsi: sono contagiosi. Solo allora partendo dalla consapevolezza che il terrorismo islamico nasce da un rigetto del modello europeo ed occidentale che possiamo cominciare a riflettere su quali soluzioni trovare al problema che abbiamo di fronte. Vorrei concentrare il mio ragionamento su due aspetti, in realtà tra loro fortemente interconnessi: religione e identità.

L’errore più grande che oggi corriamo il rischio di compiere è di effettuare un’equazione tra terrorismo di natura religiosa e religione stessa. Interessante è riprendere da questo punto di vista quello che alla luce dei fatti delle ultime settimane sembra quasi un discorso profetico: la lectio tenuta il 12 settembre 2006 presso l’Università di Regensburg da uno dei più grandi teologi del novecento, Joseph Ratzinger. Egli afferma con forza quanto la fede e la ragione non siano un’inconciliabile dicotomia; anzi la fede ha bisogno della ragione perchè “non agire secondo ragione è contrario alla natura di Dio”. E quale gesto più irrazionale può esistere rispetto alla violenza, all’omicidio, al sangue? ciò che ci dice Benedetto XVI è che una fede che dimentica di non essere fatta contro l’uomo ma per l’uomo si trasforma in integralismo. Esso non è altro che una distorsione del concetto di fede. Allora è proprio dalla religione che deve venire la più forte opposizione rispetto a questa distorsione. Per il cristianesimo questo è un dato scontato: il cristianesimo si fonda su quello che Ratzinger dice essere l’incontro tra Atene e Gerusalemme, cioè tra la cultura greca e la cultura giudaico-cristiana. La nostra civiltà occidentale, che è civiltà cristiana, si fonda su questo concetto: è la ragione e la libertà che permettono all’uomo di afferrare il trascendente. Vale lo stesso per l’Islam?

Tale concetto della libertà che innalza l’uomo, pur essendo nato da una speculazione essenzialmente religiosa in seno al cristianesimo, si è completamente laicizzato, divenendo nei secoli il dato fondante della cultura europea. Dimostrazione più immediata di ciò la si ha nella satira, cioè nella libertà di umiliare perfino il sacro, in quanto non esiste nulla di più sacro di ciò che può essere dissacrato. E’ questo concetto, alla base della nostra storia, del nostro vivere comune, della nostra concezione di società, che è stato duramente colpito dagli attentatori di Parigi: essi hanno compreso, molto più di noi, che cosa caratterizza l’Occidente. Non la ricchezza, non i Macdonalds, ma la nostra libertà! Ed è qui che arriva l’identità: riaffermare oggi l’identità europea fondata sulla libertà dell’individuo è il modo più immediato di rispondere ai terroristi. Sacrificare la libertà per la sicurezza significherebbe tradire se stessi, negare la propria identità e cedere alla paura. Non sarà il terrore a farci cambiare!

E’ partendo da queste consapevolezze che dobbiamo cominciare a ragionare su quale possa essere il modo migliore di reagire di fronte a quella che molti di noi ormai chiamano guerra. La certezza di non poter rinunciare a noi stessi, a ciò che in millenni abbiamo con fatica costruito!