Il presidente di Confindustria Digitale Stefano Parisi, durante il forum di Confindustria "Italian Digital Agenda Annal Forum", Roma, 21 ottobre 2013. ANSA/ALESSANDRO DI MEO

A destra del Pd questo fine settimana di Luglio è stato animato da un mare nuovamente mosso in casa centrodestra, e questa volta non a causa delle solite dichiarazioni al vetriolo. Rispettivamente da Arezzo e da Taormina le anime più strenuamente all’opposizione del centrodestra italiano – FdI, Lega Nord e Fitto – e quelle reduci dal laboratorio milanese rappresentate da Lupi e Parisi hanno provato a tracciare la rotta per questa area politica. Il ponte tra l’intervento siciliano di Parisi ed il continente è stato proprio il referendum, tema al centro della convention targata Meloni, per il quale Parisi ha già fatto sapere che voterà per il “No” contrariamente a quanto farà il partito di Alfano, che sposta il suo baricentro a sinistra man mano che si scende “lo stivale”.

Ma chi è Stefano Parisi? Romano di nascita e milanese di adozione, anche se nella capitale durante la sua carriera ricopre diversi incarichi di prestigio ai Ministeri del Lavoro, delle Telecomunicazioni e presso la Presidenza del Consiglio. Viene designato quale City Manager del Comune di Milano durante il mandato di Gabriele Albertini, contribuendo a risollevare la città dopo gli anni di Tangentopoli, nella città meneghina sarà anche Direttore Generale di Confindustria. Seppur di tutto rispetto non è per il curriculum che Parisi è in queste settimane “l’oggetto ignoto” della politica italiana, la sua candidatura a sindaco di Milano sostenuta da tutto il centrodestra – eccetto Nicolò Mardegan – e la conduzione di una campagna elettorale brillante alla luce dei punti recuperati su Sala l’hanno lanciato in maniera decisa sulla scena nazionale.

Così, da qualche tempo, osservatori e politici si chiedono: Parisi può essere il nuovo leader del centrodestra? “Certamente può esserlo, il problema è se esiste o meno il centrodestra” fa notare qualche addetto ai lavori, ed il paradosso non è poi così tale se si considera il terzo gradino del podio ottenuto quasi ovunque nelle ultime elezioni amministrative.

A fotografare lo stato di un’area politica da rifondare c’è il fatto che fino a che il PD di Renzi vorrà parlare al mondo moderato, beneficiando dei timori di quest’ultimo nei confronti dell’instabilità e delle macchiette del cdx, un’offerta politica “liberal-popolare” non troverà sufficiente spazio nella base elettorale a meno di un forte recupero nell’area del non voto.

I leaders del centrodestra lo sanno e puntano al referendum di Ottobre per interrompere questa esperienza centrista del PD, colpendo Renzi al cuore del suo programma e ricacciando il suo partito nell’ambito storico del socialismo europeo. Un incrocio di astri simile a quello che ha fatto scivolare David Cameron, costretto alle dimissioni, nel quale uno come Stefano Parisi rappresenterebbe un frontman ideale.

Naturale, pacato ma incisivo, quasi rassicurante, con l’impressione di fondo di essere “genuino”, sono queste le sensazioni che Stefano Parisi tira fuori dai piccoli schermi di tv e smartphone dei suoi sostenitori. Se vorrà guidare il centrodestra ed il Paese però avrà bisogno di molto di più, da opinion leader dovrà trasformarsi in leader politico, l’esatta differenza tra farsi seguire da una folla indistinta e guidare un esercito organizzato per concorrere a tutti i livelli di governo. Dovrà risolvere il problema dell’assenza di una classe dirigente di qualità, di una sana cultura di partito che dia la sensazione ai cittadini di far parte di una storia politica e non di un rassemblemant costruito ad hoc per partecipare alle elezioni. Ormai considerata fallita qualsiasi esperienza di partito unico, dovrà condurre un esercito di 3 divisioni che parlano molto spesso lingue diverse e dovrà spiegare agli italiani il perché questa volta sarà diverso.