Abbiamo incontrato Stefano Parisi a margine di una manifestazione a Frosinone. L’occasione è stata proficua per porgergli 3 domande sul futuro del centrodestra e sul programma elettorale del Lazio.

A cura di Francesco Severa – Abbiamo incontrato Stefano Parisi a margine di un comizio a Frosinone. Ci si confronta nella maniera più schietta con la cifra politica di un uomo quando lo si ascolta parlare in pubblico. È in quei momenti, quando si sale su un palco o anche solo ci si rivolge ad una stretta platea di militanti, che viene fuori, oltre ogni possibile dissimulazione, il carattere, la personalità, il messaggio, la visione di un protagonista politico, sempre che queste componenti le possegga. Ascoltare Stefano Parisi significa confrontarsi con una personalità che fa della fiducia e della sicurezza l’essenziale della sua azione politica. Il suo tono compassato, senza strappi, sottolinea il tentativo di rassicurare l’interlocutore. Non è un politico Parisi, e si vede. Dietro però lo scorrere chiaro e lento delle sue parole, egli nasconde allo stupito ascoltatore idee e proposte prorompenti, che colpiscono per la razionalità e il buon senso. Il suo ideale di sviluppo è tutto nel lavoro, nella responsabilità, nella sua esperienza nei bui meandri della pubblica amministrazione. Chi ascolta riconosce in lui il simbolo dell’impegno silenzioso ma concreto, lo zelo senza clamore. Non certo gli è mancato il coraggio quando ha accettato una candidatura per il Lazio colpevolmente tardiva. Molto il centro-destra ha da rimproverarsi su questo. Eppure la sensazione è che Zingaretti non debba dormire sonni troppo tranquilli.

Che Lazio immagina Stefano Parisi?

«Zingaretti ha lasciato una Regione che è un disastro. Siamo gli ultimi come natalità, gli ultimi come aspettativa di vita, addirittura, la peggiore sanità del nostro Paese, le tasse più alte di tutta Italia. Non è stato fatto nulla! Si è completamente lasciato andare tutto, pensando solo a propaganda e difesa degli interessi del partito. Dobbiamo fare il contrario. Dobbiamo fare politiche che rilancino l’economia, che sistemino, nel rigore dell’economia di bilancio, la sanità. Bisogna fare investimenti, fare infrastrutture. Insomma questa Regione, più che fondamentale per questo Paese, deve diventare una Regione modello, non può essere l’ultima Regione d’Italia».

Il Lazio ha sempre vissuto questa divisione tra Roma e le Province. Due poli tutt’altro che integrati e decontestualizzati dal punto di vista economico, degli investimenti, dei trasporti, dello sviluppo turistico. Si può cambiare quest’ottica?

«Bisogna completamente cambiare l’ottica. Tutto è incentrato su Roma e le Province sono lontanissime. Frosinone è più lontana da Roma di quanto non sia Milano, come sistemi di trasporto. Dobbiamo cambiare il modello della Regione. La Regione deve essere leggera. Dobbiamo rimettere le Province e dare più competenze ai territori. La Regione deve fare poche e chiare leggi quadro, pezzi unici, e deve dare risorse ai territori perché le spendano. È una logica completamente diversa e abbiamo bisogno di persone che rappresentino i territori nella Giunta della Regione Lazio».

Quale futuro per il centro-destra in Italia?

«Molto dipenderà dal 4 marzo. Se il centrodestra vincerà, cioè se il centrodestra sarà autonomo, avrà davanti a se una grande sfida e una grande prova di maturità. Dovrà diventare una grande forza politica in grado di portare questo Paese fuori dal declino in cui si trova. Quindi queste elezioni segneranno veramente un passaggio importante per il Paese. Se il centrodestra non vince ci sarà il caos. Però non ci deve essere il caos anche nel centrodestra. Quindi bisogna fare in modo che ci sia veramente uno sforzo in quest’ultima settimana perché si garantisca al Paese un governo stabile, altrimenti siamo troppo fragili per poter subire un’instabilità istituzionale troppo a lungo».

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