– di Filippo Del Monte – Lanciare uno sguardo a questo mare ti porta lontano con la mente, riesce a far arrivare i tuoi occhi oltre la linea dell’orizzonte, verso mondi che sembrano lontani, irraggiungibili, eppure così vicini e capaci di evocare sensazioni, destare sopite emozioni. In queste azzurre acque e sulle coste da esse bagnate è nata la civiltà. Lungo una linea immaginaria che unisce Roma, Palermo, Alessandria d’Egitto, Atene e Costantinopoli ha preso forma il nostro modo di vivere, ha preso forma il nostro modo di pensare, abbiamo preso forma noi.

L’essenza del Mediterraneo e di ciò che intorno vi ruota è innanzitutto, anzi, soprattutto spirituale. Tutto ciò che è materiale e bestiale, tutto ciò che è legato quindi all’esasperante soddisfacimento dei bisogni terreni è estraneo a queste acque. Mediterraneo significa viaggiare, verso l’ignoto e verso casa, alla continua ricerca di sé stessi e, esagerando ma non troppo, della perfezione. Se lo spartiacque per le vicende e la visione dell’Europa fu il fatidico 1789 francese, per il Mediterraneo la storia è stata diversa. La Tradizione è rimasta fermamente al suo posto tra le Colonne d’Ercole e la calda spuma dei flutti levantini. La cultura eminentemente spirituale del Mediterraneo è naturalmente protesa verso la Tradizione, è quindi per forza di cose orientata alla ricerca delle migliori evoluzioni possibili per l’Uomo e per la “res publica” nel rispetto di quei valori millenari trasmessi di generazione in generazione.

Abbiamo parlato di viaggio verso l’ignoto, ma tutta l’incertezza è facilmente superabile poiché si parte con un bagaglio di plastiche ed inamovibili certezze. Anche quando si è soli ci si sente parte integrante di un qualcosa di grande, non si è mai abbandonati a sé stessi come invece l’individualismo ci vorrebbe imporre. Si è sempre pronti a riconoscere come la “propria Itaca” personale qualunque angolo di questo grande polmone d’acqua che fu la fonte di vita della Romanità ed a cui ancora oggi si abbeverano le genti vive di questa terra. Splendide e vendicative sono le stirpi del Mediterraneo, come la raffinata damascatura sulla lama scintillante d’una scimitarra pronta a vibrare il colpo letale.

Ogni cosa di questo Mediterraneo ci intriga, ci attira, ci spinge a conoscere e, quando si è pronti, a tentare l’impresa che ci eravamo prefissi. Ogni goccia della sua acqua ci rinfesca, ogni alito del suo vento ci ristora, ogni sole riflesso ci riscalda in questo Mediterraneo. La sua forza d’attrazione è inarrestabile, dalla terrazza di Gibilterra che s’affaccia sull’Africa serlvaggia, passando per l’isola-roccaforte di Malta, fino ad arrivare agli alti minareti delle moschee – un tempo chiese bizantine – di Costantinopoli. Forza tutta antimoderna, protesa in direzione ostinata e contraria rispetto ad una modernità per la quale non siamo e non vogliamo essere tagliati.

Questa attrazione ci impone d’interessarci e d’occuparci di tutte le terre bagnate dal Mediterraneo, di ricercare storie passate per raccontarne di nuove, ci impone di gettarci nella mischia prima di tutti, sopra tutti, perché la Stirpe italica contribuì con braccia ed ingegno alla costruzione di questa grande civiltà che oggi chiamiamo mediterranea. Nell’era del progresso standardizzato è “normale” guardare a nord, è “bene” sentirsi parte integrante esclusivamente dell’idealtipo euro-cosmopolita, ma bisogna ricordarsi che le nostre radici sono a sud-est, sono proprio tra le insenature e le acque di quello che fu il Mare Nostrum e che oggi potrebbe nuovamente esserlo, sotto altre forme, purché si trovi chi abbia il coraggio di plasmarle dando vita all’ordine dove oggi esiste solo caos.