referendum-costituzionale-2016A cura di Nicola Tancredi – Se è vero che la politica italiana difetta nel campo della coerenza è anche vero che il quattro dicembre il popolo del centro-destra si troverà di fronte a una grande prova di coerenza. Il centro-destra racchiude un elettorato che per vent’anni, come ha detto l’amico Francesco Severa nel suo articolo “Le ragioni del si’ di un uomo di Destra”, ha vissuto una “certa idea di Italia ed in una certa idea di Politica” e “una capacità tutta rivoluzionaria di deridere e sradicare miti e feticci, culturali ed ideologici, che oramai non rappresentavano altro che marcescenti prese di posizione sinistroidi e politicamente corrette. Tra questi, uno di quelli più duri a morire è certamente il dogma laico della “costituzione più bella del mondo”, ma il centro-destra oggi in questi giorni di svilimento istituzionale è quello strato culturale capace di esprimere valori ormai dimenticati come Nazione e sovranità. Ed’è questo il punto. Senza entrare nel merito della fondatezza o meno del dogma stilistico, c’è da dire che la nostra Costituzione non rappresenta solo il plastico delle forze politiche che la formarono, ma rappresenta anche e sopratutto lo sforzo di evitare ritorni autoritari per questo fu scelto oltre l’elenco dei diritti nella prima parte, anche forme di controllo e di contro potere capace di erigere la garanzia democratica, e se la carta trova difformità con i tempi contemporanei è perché i figli dei padri costituenti hanno voluto aderire a parametri che la stessa carta rifiuta. Detto questo, difronte al testo della riforma Renzi-Boschi ho difficoltà a trovare una linea di contatto, congiunzione e di continuità sia a livello culturale che a livello istituzionale, da quello che fu il tentativo del duemilasei targato centro-destra, ma trovo “a priori” al di là degli assurdi tecnicismi che la proposta incarna, due buoni motivi in riferimento ai valori che il centro-destra esprime per rifiutare la Renzi-Boschi. In primis senza entrare nel cuore del merito e della legittimazione con cui a colpi di fiducia sono state votate le modifiche di ben 47 articoli costituzionali da un Parlamento su cui pende come spada di Damocle la sentenza n°1/2014 della Consulta, la riforma del “nuovo che avanza” si presenta a differenza di quella del duemilasei, di tipo centralista con il conseguente trasporto di determinate funzioni ed esclusività di materie dalle Regioni allo Stato centrale. (Energia, infrastrutture strategiche e sistema nazionale di protezione civile, previdenza complementare e integrativa; tutela, sicurezza e politiche attive del lavoro.. tanto per citarne alcune) Il pericolo, al di là ripeto dei meriti, delle legittimazioni e dei finti proclami di efficienza con cui siamo arrivati a questa riforma è che nella stessa si tenta di nascondere per mezzo di specchietti per le allodole quale abolizione Senato e costi politica diminuiti, il nuovo articolo 117 che sembra creato ah hoc per le oligarchie europee, il quale recita “La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali”. Ora non occorrono menti eccelse per capire che in un contesto storico e istituzionale in cui non si è sovrani neanche di dare voce al proprio pensiero, il pericolo celato dal connubio riforma-legge elettorale sta proprio nel fatto che in caso di vittoria del fronte del SI, tra i banchi di un emiciclo depauperato di rappresentanza e democrazia diretta si possa sedere una maggioranza capace di votare in maniera incontrastata su materie su cui le oligarchie europee hanno da tempo messo gli occhi e che questa riforma pone nelle mani dello Stato centrale. Pertanto, il pericolo di vedere la volontà dei pochi trasformarsi realtà per mezzo di un Parlamento e di un Governo vicino ai parametri europei è forte ed è tangibile dagli ultimi cinque anni della storia repubblicana. La questione della sovranità non è certo barattabile con la questione della governabilità, perché la stagione istituzionale che stiamo vivendo dimostra che gli esecutivi di centro-sinistra sono il pericolo e l’Europa è la causa. Potremo quindi dire, senza alcuna paura di errori, che il percorso iniziato con Monti con l’introduzione nella Costituzione del’obbligo del pareggio di bilancio, passando per la riforma delle pensioni Fornero e per la riforma del lavoro JobAct e il successivo arrivederci all’articolo 18 , termina con una riforma costituzionale sulla quale Bruxelles punta molto e lo ha fatto giocandosi la carta del volto nuovo Renzi sfruttando il vuoto istituzionale dei governi Monti e Letta. Ultimo ma non per questo meno importante motivo (tra i tanti che qui non ho elencato) per rifiutare la riforma è appunto quello della coerenza. Non è un crimine dire No, non è un anti-renzismo vuoto lo è bensì pieno. Renzi rappresenta la politica elitaria, quella che fu l’artefice del nostro non-destino, quella che volle le dimissioni di un Premier.

Dire No è un atto non solo di coerenza nei confronti dei paradigmi costituzionali vilipesi dalla riforma ma è sopratutto un atto di coerenza verso un popolo che nel duemilaundici fu scippato della sua sovranità da chi oggi decanta e vuole una riforma che si palesa come un progetto di accentramento del potere nelle mani dei pochi a discapito dei contro poteri democratici. Infine non credo di essere l’unico a sperare che questa riforma non sia ulteriore motivo di frammentazione interna già accentuata negli ultimi anni, ma, seguendo la linea unitaria del No, sia invece un tramite per riallacciare i fili di una coalizione e di un fronte che è stato capace di dare al nostro paese quattro governi. Facciamo di questa non-riforma la nostra riforma.

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