– di Riccardo Boccolucci – Con il test nucleare effettuato il 3 settembre la Corea del Nord ha davvero oltrepassato il limite.

Durante il Consiglio di Sicurezza Onu, convocato d’urgenza il giorno seguente, l’ambasciatrice americana Haley ha espressamente dichiarato che il regime di Kim Jong-un << ci implora di fargli guerra >>, facendo bene intendere che gli Stati Uniti non sopporteranno ulteriori violazioni delle risoluzioni e dei trattati internazionali.

Il sottosegretario generale delle Nazioni Unite Jeffrey Feltman ha inoltre sottolineato come questo test sia stato il più potente mai realizzato, provocando come effetto collaterale una scossa sismica di magnitudo 6.3 (per distruggere Amatrice ne è bastata una di a 6.0).

Nikky Haley, che indiscrezioni vorrebbero presto al Dipartimento di Stato al posto di Rex Tillerson, durante il Consiglio ha chiesto espressamente che le nuove sanzioni <<siano le più pesanti mai imposte>>, annunciando una nuova risoluzione entro questa settimana e votata la prossima.

Della stessa idea sono ovviamente i sud coreani, i quali chiedono specificatamente di bloccare tutti i fondi al regime di Kim, applicando sanzioni proporzionate all’entità della minaccia posta in essere da Pyongyang.

In serata i Presidenti di Corea del Sud e Stati Uniti hanno deciso di agire rimuovendo il limite di carico alle testate missilistiche – raggio di 800 km e carico di 500 kg – di Seul, con l’intento di aiutare Moon Jae-In ad accrescere le proprie capacità di difesa.

Finora, in questa crisi di carattere sempre di più globale, la Cina ha avuto un ruolo a dir poco ambiguo. Sappiamo bene come il 90% delle importazioni di Pyongyang provengano da Pechino, ma non si riesce bene a comprendere se i cinesi subiscano o manovrino l’alleato nordcoreano, o se semplicemente sia sfuggito al loro controllo.

L’inviato di Pechino all’Onu ha chiesto al regime di Kim Jong-un di non ripetere azioni simili «che sono sbagliate, peggiorano la situazione e non sono in linea con i loro stessi interessi»; chiedono di tornare al dialogo.

Dunque i cinesi formalmente condannano, ma agli americani questo non basta e giudicano le loro proposte «offensive».