Mentre nella Capitale si consuma la fine della giunta Marino, nel Paese si moltiplicano i casi di un partito che ingrandito dal vento in poppa, perde il controllo nel territorio.

renzi marino – di Antonio Pezzopane – E’ finita nel peggiore dei modi l’esperienza di Ignazio Marino in Campidoglio, travolto da un ormai ben noto ed imbarazzante scandalo sui rimborsi che lo ha portato ad un definitivo isolamento. Nel corso della giornata (giovedì 8 Ottobre) si sono consumate consecutivamente le fratture con l’establishment del PD: nel pomeriggio i consiglieri della maggioranza in Campidoglio si recano nella sede del Nazareno (un segno inequivocabile), poi alle diciannove l’incontro con Orfini, che tanto ha difeso Marino, ed il Sindaco decide di lasciare. A parte la menzione dell’eventualità di poter ritirare le dimissioni nell’arco di venti giorni, la lettera di addio non desta alcuna emozione, sulla falsa riga del resto di un mandato che mai fu così lontano da qualsiasi empatia con i romani.

Considerare questa vicenda come locale, o marginale per la vita del governo, sarebbe una grave ingenuità, Matteo Renzi lo sa e per questo si è premurato in questi mesi di stabilire le giuste distanze tra lui e l’ormai ex-sindaco di Roma. Tutto questo non basta però a disinnescare le insidie di una tornata amministrativa che si preannuncia difficile con città chiave come Milano, Napoli e da poco anche Roma, tutte vinte con i cosiddetti “sindaci per caso” (outsider come De Magistris, Pisapia o Marco Doria a Genova che vinsero le primarie del centrosinistra) e nelle quali sarà difficile ripetersi. Il Presidente del Consiglio sa che l’eventualità di un voto sfortunato peserebbe come un macigno sull’immagine di un mandato, il suo, che mai ha ricevuto un battesimo elettorale diretto e che per questo abbisogna di continue riconferme. Che dire poi di un’Italia che sembra ripartire, o forse rimbalzare dopo il gran tonfo, e di come tutto questo si trasformerebbe in uno scomodo intralcio sulla strada di una riconferma nel 2018.

Scenari e congetture, si sa la politica è fatta soprattutto di questo, ma se si cerca qualcosa di tangibile in questa fase è la difficoltà, o lo scarso interesse, del segretario del Pd a gestire le beghe territoriali del suo partito. Negli ultimi mesi ne ha messe in fila diverse, dal caso De Luca alla debàcle di Paita e Moretti, tutti esempi di come un Partito Democratico cresciuto nei consensi (su una base elettorale che è andata restringendosi) non sia riuscito ad adeguare organi e cultura di governo al suo ruolo attuale di guida del sistema politico. Se davvero il PD di oggi, quello romano praticamente dimezzato in testa, sembra assomigliare al PDL dei momenti più bui, a preoccuparci dovremmo essere tutti, indipendentemente dal credo politico; in una formazione politica che cresce e conquista la maggioranza, inutile essere ipocriti, è fisiologico che cerchino di insinuarsi gruppi di potere più o meno illeciti, ma che un partito ,dopo aver conquistato la fiducia degli elettori, naufraghi nel mare in tempesta degli scandali, e non per avere esaurito la sua funzione, è forse ancor più preoccupante.

In questo panorama si inserisce la vicenda di Roma Capitale, una lenta agonia alla quale Marino ha pensato di rispondere con una “terapia del dolore” condita da gaffe e passi falsi, preoccupato delle sue aree pedonali mentre il mondo del trasporto pubblico intorno a lui crollava. Agonia che il Premier non ha evitato di sottolineare pubblicamente mentre, si vociferava fino a ieri in Campidoglio, sottotraccia cercava di difenderlo o quantomeno arginarlo. Diverso invece l’atteggiamento tenuto per gli scossoni assestati dalla magistratura alla Regione Lazio, con le indagini di Mafia Capitale ancora in corso, che potrebbero si mettere fuori gioco l’unico rivale credibile di Matteo Renzi, il Pres. Nicola Zingaretti, ma il cui smottamento sarebbe troppo eclatante per non tirarsi dietro strascichi sul governo.

E’ il risultato della liquefazione dei partit,i che porta le segreterie a giocarsi le tornate elettorali come continui all-in, dove le distinzioni tra i ruoli di governo e gli incarichi di partito perdono di significato e si lascia il campo alla guerra tra bande.

Un autunno scomodo, per Matteo Renzi, reso rovente, dalle scorribande passate e future del Partito Democratico.

@AntonioPezzopan

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