referendum-di Carlo Prosperi- Se la politica è simbolo, quello del referendum del 4 Dicembre è l’appuntamento più importante almeno dalle Europee del 2014. La personalizzazione ha caricato di politicità un discorso asettico e tecnico, come ha scritto Velardi, con un senso comunicativo più ampio rispetto altre consultazioni referendarie. Nel 2006, votò il 52,46%, nel 2001, il 34,10. Le placche tettoniche sono in movimento: se Brexit ha una magnitudo 6.5, Trump 7.5. Il referendum italiano, considerato inizialmente con la possibilità di un effetto spillover in tutta Europa, è ora banalizzato (leggasi Economist e FT) a vicenda minoritaria. Preoccupa più l’ascesa degli discombombules del Movimento 5 Stelle. Renzi, se vince il SI’, come ha notato il costituzionalista Ainis, probabilmente, tornerà alle urne per sfruttare il consenso popolare accumulato.
Qualora vinca il NO, la legislatura si protrarrà fino a scadenza naturale, alla guida un governo tecnico guidato da uno dei ministri del secondo Governo Renzi di area tecnocratica o fuori dal correntismo democratico, seppur con la tessera in tasca.
Novello Retz -Cardinale fiorentino avversario di Mazzarino nella corte francese, citato come archetipo, assieme a Machiavelli, dello stile del premier nel nuovo lavoro editoriale del filosofo renziano e think tanker Giuliano Da Empoli- è possibile anche che non si dimetta. “La prova del potere” è un mondo più complesso rispetto la visione di un guru della comunicazione (la cui winning streak non è nemmeno troppo a suo favore). Parafrasando un noto politico, la televisibilità è un requisito ma la politica è una cosa seria.

Ed il centrodestra?

Nella trasformazione del centrodestra a guida postberlusconiana, avvenuta lentamente ma progressivamente nello sfacelo del sistema politico derivante dall’entrata prepotente del Movimento 5 Stelle -ben diceva Casini, “il progetto del terzo polo termina con l’entrata di Grillo in Parlamento”- nello spazio pubblico italiano e nel cambiamento di segreteria nel Partito Democratico e nella Lega Nord, conclusasi con la perdita del ruolo cardine del Cavaliere nella delineazione della strategia politica e nell’egemonia culturale di Salvini. Se la mancanza di una cultura politica omogenea può essere datata fino al congresso di fondazione del Popolo della Libertà e la sconfitta della linea di creazione di una casa del popolarismo in Italia a causa dei dissidi con l’Unione di Centro, l’uscita dal perimetro della maggioranza del governo Letta prima, e lo straccio del patto del Nazareno poi, hanno ridotto gli spazi occupati in seno ai moderati di Forza Italia. Dal punto di vista elettorale, nel mondo del quantum, notava uno degli architetti della gamba nazarenica Forza Italia perde nella competizione per il Parlamento Europeo in termini numerici solo le percentuali del NuovoCentroDestra, nato dalla scissione fra falchi e colombe nel Popolo della Libertà. L’uscita repentina dalla condizione di appoggio esterno alla maggioranza e l’ascesa di classi dirigenti televisive ha poi contribuito alla parabola declinante di Silvio Berlusconi, fino ai fischi di una piazza di Bologna. Il partito patrimoniale -etimologicamente, di proprietà del padre- finirà con il padre. La issue politica è il Cavaliere stesso, le sue frustrazioni, i suoi sogni, la sua percezione della realtà stessa. Credere nei delfini è, parafrasando McIntyre, come credere agli gnomi ed alle fate.

Matteo Salvini, forte del repulisti in casa Lega e di un’adattabilità darwiniana, rilegge Gramsci e porta avanti la strategia nazionale.
La rivoluzione paradigmatica della sperimentazione lepenista nel campo della destra italiana non ha attecchito a livello elettorale, seppur la fusione con il blocco sociale dell’Italia centro-meridionale della “grande federazione romana” -come la chiama Veneziani- di Fratelli d’Italia, evitando il raggiungimento di obiettivi elettorali consistenti alla pari di altri componenti dell’Internazionale Nazionalista come Wilders, Le Pen o Hofer.
La decisione sostanziale che dovremo prendere il 4 Dicembre: Mantenere la rappresentanza del sistema, o diminuire la democraticità per aumentare la semplificazione.
Il centrodestra, insieme a tutto l’arco parlamentare non governativo, ha deciso per la prima.
Qualsiasi risultato del referendum produrrà un’accelerazione nella mutazione genetica del centro-destra, con il trattino.
La frattura politica che ha visto nascere il centrodestra, non esiste più. La definizione è ora data da ciò che l’Economist ha definito open/closed, o Florian Philippot la lotta fra patrioti e globalisti, o per gli intellettuali della Alt- Right, il popolo contro la “palude” (vi ricordate Trump con #draintheswamp?), il “rigged system”. Francis Fukuyama, nel 2013, ha scritto sul Wall Street Journal che le aspettative delle nuove classi medie non vengono più soddisfatte e quindi si rivoltano. Erano i tempi dei sommovimenti in Brasile, in Israele, anche in Europa. Persone normalissime si riversavano in strada per chiedere qualcosa in più. Generalmente, una maggiore distribuzione del reddito, le stesse opportunità. L’economista della Banca Mondiale Branko Milanovic ha esemplificato in una distribuzione -conosciuta ai più come il grafico dell’ “elefante”- la situazione della global upper-middle class, dall’Europa ai che, a causa della globalizzazione, diminuisce il proprio potere d’acquisto. Luciano Violante ha giustamente rimarcato come il populismo non sia la causa dei problemi, ma il sintomo dello scollamento fra popolo e mondo politico. I blue collar di Donald Trump o le campagne inglesi per il Remain sono un fenomeno di contrasto all’ “1%”, alla selvaggia paretiana tendenza naturale all’oligarchia del sistema.
Quando Parisi e Salvini battibeccano, rappresentano il nuovo cleavage. Renzi rappresenta l’apertura, il globalismo. Così come Berlusconi, che ha già dichiarato di voler dare supporto in caso di vittoria del NO. Se, ad interpretare il protagonista del sovranismo sarà la Lega o il M5S, solo il futuro -e la capacità dei leader- potrà dircelo.
Aspettiamo in riva al fiume.