Steve Bannon, stratega di Donald Trump interviene ad Atreju e scalda i cuori dei militanti della destra italiana.

A cura di Francesco Severa – Si può fare del “sovranismo” una categoria del politico, capace di trascendere storia e geografia, confini ideologici e identitari, perfino la cifra più genuinamente nazionale di ogni movimento politico che si richiami, oggi, ad una riscoperta del più sfacciato sentimento democratico? Risponderebbe affermativamente Steve Bannon, lo stratega a cui si deve l’elezione di Donald Trump alla Casa Bianca. A seguire il suo ragionamento, ad Atreju 2018, tutte le grandi esperienze “sovraniste” degli ultimi anni, dalle presidenziali americane del 2017 alla Brexit, fino alle elezioni politiche in Italia del marzo 2018, sarebbero accomunate nei fondamentali da una rinnovata opposizione tra il sentimento di rivalsa dei popoli e il pervasivo potere delle classi dirigenti. Una contrapposizione che si sostanzia non semplicemente in una rappresaglia economica, quasi fosse una novella intuizione della lotta di classe in questo nuovo millennio, ma un confronto di dimensione culturale tra chi custodisce l’ingenuo fardello di una civiltà tutta umana e costruita per l’uomo, contro i teorici di una nuova creazione, libera perché antiumana.

Quel nemico, “il partito di Davos” lo chiama Bannon, è antiumano perché globalizzante, perché vuole annacquare le nostre differenze identitarie nell’ideologia del relativo: contro questo “grande potere” Bannon vuole creare un “grande potere” alternativo, un’internazionale del “sovranismo”, unita da questo comune nemico. Eppure questa costruzione lascia perplessi. Se facciamo del “sovranismo” una crociata con protagonisti i popoli, forse anche vincente, cosa ne faremo del mondo liberato? Tante monadi scostanti sì, ma che si beano della concorrenza reciproca, ha detto Bannon ieri rispondendo a pertinente domanda di Alessandro Giuli. Un risultato alquanto deludente. Le aspirazioni sovraniste non sono tutte uguali, ma appartengo ad un compendio di esperienze e sentimenti che è proprio e unico per ogni nazione. Questa complessità diviene organica e vitale se unita per una comune prospettiva, che potrà inizialmente anche essere distruttiva, così da dinamitare un presente ingombrante, ma va poi resa simbolicamente.

Come ripensare la democrazia? Come superare la democrazia rappresentativa, senza abbandonarsi alle dinamiche distorte della democrazia digitale? Se il mondo dell’elitismo sembra crollare su se stesso, abbiamo l’urgenza di rispondere a questi quesiti: soprattutto nella nostra Europa. Abbattere il feticcio dell’Unione europea non può significare abbandonare ogni aspirazione di unità del continente, schiacciato sempre più tra giganti ingombranti. La nostra Sovranità è sempre stata comunanza di destino: la complessità unita da una comune aspirazione. La nostra Sovranità è sempre stata globale, anzi universale: aperta ad ogni partecipazione. La nostra Sovranità è sempre stata rifugio per le Nazioni oppresse: il nostro è il mondo della redenzione sempre possibile. Non riduciamo il nostro sovranismo al sovranismo d’Oltreoceano. Non riduciamo il nostro sovranismo ad una lotta privata per il riconoscimento. Siamo chiamati a costruire un mondo nuovo e lo possiamo fare ad una condizione: essere consapevoli che la rivoluzione è possibile soltanto ai sognatori.