ius soli

 – di Filippo Del Monte – Quando si parla di riforma della cittadinanza in Italia due blocchi inconciliabili si affrontano l’uno contro l’altro armati: i fautori dello Ius sanguinis e quelli dello Ius soli. Questi due modi di “pensare” la cittadinanza hanno una derivazione antica, legata alla storia delle Nazioni e degli Stati. Avere preferenza per uno dei due modelli non è un capriccio ma semplicemente il prodotto della Storia. L’unico Paese europeo che adotta ufficialmente lo Ius soli è la Francia e questo è dovuto non solo ad un refuso dell’ideale cosmopolita settecentesco ma anche al modello assimilazionista attuato dai transalpini nei confronti delle numerose comunità di immigrati (in maggioranza provenienti dalle ex colonie di parigi).

Tale modello di gestione dei rapporti ha mostrato le falle più di una volta; le rivolte delle banlieue e la difficile convivenza tra francesi di “sangue” e francesi “acquisiti” sono solo due esempi. Questo ci può far pensare che la concessione della cittadinanza a chiunque non è la soluzione ai mali di un Paese. Una parte degli intellettuali francesi, quella che Sebastiano Caputo chiama “FranciAvanguardia”, ha iniziato a ripensare la propria società e la questione della cittadinanza assume una parte centrale in questo impianto teorico. Insomma, i “campioni” continentali dello Ius soli cercano di tirarsi fuori da questo vespaio e l’Italia vuole entrarci con tutte le scarpe. Certamente parlare di Ius sanguinis “puro” è impossibile nel mondo di oggi trasformato in un immenso villaggio globale; dunque quello che la sinistra vuole andare a colpire è un modello misto che anziché smantellato andrebbe rafforzato.

L’errore che non si deve fare è ridurre la cittadinanza ad una questione meramente giuridica. L’essere cittadini si porta dietro necessariamente le questioni dell’identità, delle tradizioni, della storia comune (si potrebbe azzardare “della stirpe” per utilizzare una parola considerata pericolosa dai benpensanti); in parole povere non si può ripensare la cittadinanza senza andare a ripensare dalle fondamenta il concetto di “Nazione”, cosa effettivamente al giorno d’oggi significhi “essere Nazione”. Qui si arriva a toccare un altro punto importante che ci differenzia dagli assimilazionisti francesi: le origini della nostra identità nazionale. La Francia è una Nazione “costruita” dallo Stato (dall’assolutismo e dalla rivoluzione in egual misura) mentre l’Italia è una Nazione nata ben prima dello Stato. Secondo Marcello Veneziani questo fattore ha fatto si che l’Italia, a fronte di un apparato statale relativamente debole, abbia un’identità forte. Imporre dall’alto lo Ius soli alla comunità potrebbe (dico potrebbe) sembrare un sopruso.

Ecco perché mettere in discussione un modello di cittadinanza basato sullo Ius sanguinis in Italia significherebbe porre seri dubbi sulla costruzione ideologico-culturale della Nazione italiana e questo ha ben poco a che fare con il razzismo paventato dai “boldriniani” o con la sfera giuridica. Quella per lo Ius sanguinis è una battaglia identitaria che assume significati politici ma che potrebbe tranquillamente essere inserita nel campo della “metapolitica”. La cittadinanza non è merce di scambio o un premio da regalare per “buona condotta”, è frutto di destini comuni che piaccia o no. Questo non potrà essere modificato. La sinistra ha parlato dello Ius soli come un passo avanti, come una “battaglia di civiltà” per uniformarci all’Europa ed è una falsità: bisogna ripetere che tutti gli Stati europei adottano lo Ius sanguinis (misto) proprio come l’Italia. Adottare il modello francese e statunitense (due Stati, due società, con storie profondamente diverse dalla nostra) sarebbe una violenza alle nostre tradizioni. Viene da pensare quindi a quale sia la vera “battaglia di civiltà”.

Filippo Del Monte