tmp_31924-IMG_20160215_070826-1394892405-a cura di Simone Paris- “Il Consiglio dei Ministri ha approvato il decreto per l’indizione del referendum popolare relativo all’abrogazione della previsione che le attività di coltivazione di idrocarburi relative a provvedimenti concessori già rilasciati in zone di mare entro dodici miglia marine hanno durata pari alla vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale. La consultazione si terrà il 17 aprile 2016”. Così si legge nella nota stampa di palazzo Chigi relativamente alla decisione del Consiglio dei Ministri che ha approvato l’indizione del referendum popolare.
Prima di analizzare dettagliatamente la questione e fare luce sulle polemiche che si sono innescate sulla data scelta, è preferibile fare un passo indietro per fornire un quadro chiaro della vicenda.
Nei mesi precedenti il quesito referendario è stato proposto da nove Consigli regionali (Basilicata, Marche, Puglia, Sardegna, Veneto, Calabria, Liguria, Campania e Molise), in virtù dell’articolo 75 della Costituzione italiana che permette a 500000 elettori oppure cinque Consigli regionali di richiedere un referendum popolare per l’abrogazione, totale o parziale, di una legge.
I quesiti referendari proposti erano in origine sei, tutti inizialmente accolti dall’Ufficio centrale della Corte di Cassazione; i sei quesiti originari chiedevano l’abrogazione di un articolo dello Sblocca Italia e di cinque articoli del decreto Sviluppo, relativamente alle procedure per le trivellazioni. Il Governo ha inserito nella Legge di Stabilità 2016 alcune norme che hanno introdotto novità nella materia, ribadendo il divieto di trivellazioni entro le dodici miglia mare. La Cassazione ha dovuto valutare nuovamente i referendum a causa della mutata legislazione in materia e ne ha potuto rendere ammissibile solamente uno ed in particolare la norma che prevede che i permessi e le concessioni già rilasciati abbiano “durata pari alla vita utile dell’impianto”; disposizione confermata anche dalla Corte Costituzionale.
Il referendum in questione viene ad incentrarsi principalmente sulla questione che le concessioni petrolifere già rilasciate vadano a prorogarsi oltre i termini già previsti dalle concessioni stesse.
L’accettazione dei quesiti referendari è stata accolta con grande entusiasmo dal fronte politico bipartisan che si è venuto a creare, avendo come unico obiettivo la difesa del territorio e di impedire le trivellazioni nel mare e sulle coste che potrebbero generare enormi danni all’ambiente e all’economia turistica locale.
La scelta di Domenica 17 Aprile come data per lo svolgimento del referendum ha suscitato tantissime polemiche: in primo luogo il mancato accorpamento al primo turno delle elezioni amministrative in programma per Giugno ha generato diatribe sui benefici economici che si potrebbero avere programmando un election day. Si è stimato che per il referendum di aprile si spenderanno oltre 300 milioni di euro, cifra non troppo distante dai 402 milioni di euro ottenuti dalle royalties raccolte dallo Stato nel 2014 per le attività petrolifere.
Una data così strettamente ravvicinata non permette, a detta dei promotori del referendum, una corretta informazione sulla data e sul quesito referendario per poter creare la necessaria consapevolezza negli elettori, correndo il concreto rischio di non superare la soglia del quorum, come già ampiamente verificatosi nei precedenti referendum.
Le polemiche succitate rappresentano solo episodi di dialettica politica, assolutamente necessari e comprensibili per far convergere l’attenzione dell’opinione pubblica e degli elettori su questa battaglia referendaria, che rischia di passare in secondo piano a causa delle ravvicinate elezioni amministrative che si terranno da lì a poche settimane.
Scendendo nel merito della questione, è necessario che, al di là del positivo o negativo esito del referendum, il Governo porti avanti un piano di intervento nazionale per il rilascio delle concessioni, basato su un’analisi costi-benefici e sulla sostenibilità economico-ambientale complessiva per creare una pianificazione, oggi completamente assente, e cercare di andare oltre la prassi vigente, basata su singoli decreti ed interventi, ovvero deroghe e non regole.
E’ assolutamente inaccettabile la svendita di quanto più prezioso possegga l’Italia – la natura e il paesaggio delle coste – a fronte di un beneficio immediato o guadagno minimo, se non nullo.
Stando ai dati 2014 del Ministero dello Sviluppo Economico, le riserve petrolifere accertate e presunte nei nostri mari sono piuttosto scarse: 10,6 milioni di barili, tali da coprire appena 10 settimane dei nostri consumi petroliferi annui; inoltre il valore economico di questa operazione si riduce sempre più, dato che il prezzo del petrolio è crollato nell’ultimo anno da 110 a 30 dollari al barile, e viene sempre più da chiedersi se il gioco valga effettivamente la candela!